Regionali. “Apprendisti stregoni in Liguria”. Alessandro Cassinis le elezioni test

Regionali. "Apprendisti stregoni in Liguria". Alessandro Cassinis le elezioni test
Alessandro Cassinis spiega le elezioni test: “Apprendisti stregoni in Liguria”

GENOVA – Le Elezioni Regionali 2015 in Liguria rappresentano un test nazionale non solo per il Pd di Matteo Renzi ma un po’ per tutta l’Italia e Alessandro Cassinis, direttore del Secolo XIX di Genova, traccia un quadro, “Gli apprendisti stregoni che minacciano la Liguria”, che merita di essere letto e meditato anche nel resto d’Italia.

La Liguria riunisce in sé tutti i problemi che nel resto d’Italia sono sparpagliati nelle varie regioni: terra di povertà, fino a ieri anche di miseria, e di emigrazione, la Liguria ha coperto i dolori dello spopolamento e della povertà  col mito  del triangolo economico con Milano e Torino. Ora che il vertice del triangolo è in caduta libera, è rimasto il pregiudizio della ricchezza che però non copre più disoccupazione e scarsa capacità di adattamento. Ci sono più liguri e genovesi in giro per il mondo che nella loro ex terra. Sono emigrati senza lamentarsi, “strinzo i denti e parlo ciaeo” e lo hanno fatto per decenni perché è lavorando e non invocando il diritto al lavoro che si sopravvive e si va avanti. i più, di quella schiera, hanno dato il loro contributo al mondo con qualche decoro. Nemo profeta? Darwin?

Chi è rimasto si è adattato a una spirale di regressione che ha trovato in Beppe Grillo il suo profeta con la sua decrescita felice. Il risultato è una terra senza idee, soffocata dalle case e dalle auto in sosta che riducono le strade a sentieri. Una terra dominata da una sinistra di potere e di affari nell’insieme fatta di gente per bene ma che ha trasferito in una regione di gente libera, quella di mare come quella dei monti, in un disciplinato esercito di partito.

L’articolo di Alessandro Cassinis traduce tutte queste premesse, che non sono sue ma ne formano preliminare ineludibile, in un articolo ben scritto e molto chiaro, forse grazie alla visione dei problemi di Genova e della Liguria che gli viene dall’essere foresto, milanese, col distacco di chi viene da fuori non resta invischiato nello spirito medievale e feudale dei genovesi. L’articolo ha inizio con una nota tanto cinica quanto realistica:

“Speriamo almeno che il nuovo governatore della Liguria abbia il buon senso di non esordire come il “presidente di tutti”. Se va bene, rappresenterà 200 mila cittadini, un ligure su otto.Non si vede perché, dopo lo scandalo delle spese pazze che ha coinvolto 28 consiglieri su 40, dopo altri cinque anni di scelte sbagliate o mancate, due alluvioni affrontate con tragica approssimazione e una crisi che ha visto sprofondare la Liguria sotto la media già deprimente del Nord Ovest, quegli 840 mila cittadini che votarono nel 2010 debbano ripresentarsi compatti alle urne. Erano il 60,9% degli aventi diritto, potrebbero scendere al 50, ossia meno di 700 mila persone.E se i sondaggisti non mentono quando danno al primo arrivato meno di un terzo dei voti, ecco che crolliamo a 230 mila consensi per il vincitore, poco più della metà dei suffragi conquistati da Claudio Burlando cinque anni fa, quando la sua sterminata coalizione prese il 52%”. […]

Dopo i pasticci, i tradimenti e le faide delle primarie, il Pd cerca di provare la sua compattezza con una candidata come Raffaella Paita, che invece lacera il partito nel profondo dell’anima per il solo fatto di essere la delfina di Burlando, un’erede senza soluzione di continuità.

Sul fronte del dissenso, Pippo Civati vuole dimostrare che a sinistra c’è vita fuori dal Pd, ma corre due rischi: un flop se Luca Pastorino resterà sulla soglia storica della sinistra alternativa (10%); la lettera scarlatta dell’infamia se andrà così bene da regalare la Liguria al centro destra.

Nel centrodestra Silvio Berlusconi spera che Giovanni Toti faccia almeno bella figura, ma sa che un sorpasso interno della Lega gli toglierebbe ogni chance di guidare il futuro Partito Repubblicano dei moderati e darebbe lo scettro della destra a Matteo Salvini.

Infine c’è l’incognita del Movimento Cinque Stelle. Movimento carsico e umorale, potrebbe riemergere dal senso di disgusto per una politica inefficiente, preoccupata di trasformare rimborsi elettorali in vini francesi e mutandine più che di amministrare bene la cosa pubblica. I 16 impresentabili, anche se non liguri, aiutano Beppe Grillo, l’unico che ha osato presentarsi in piazza e non in un teatrino o davanti all’aperitivo. Se i partiti avessero voluto esorcizzare lo spettro un po’ appannato del tribuno di Sant’Ilario, avrebbero fatto meglio a non riempire le loro liste con vecchi arnesi della politica e burosauri, indagati e inattivi, per usare l’eufemismo dell’Istat: gente che non si è mai cercata un posto di lavoro vero e vede in ogni seggio elettorale un ufficio di collocamento. Non c’è da lamentarsi se molti elettori opteranno fra una domenica al mare e un atto di fede sul nome di Alice Salvatore, unica faccia totalmente nuova sul proscenio.

Il terzo e ultimo spettro che aleggerà nella notte di domenica è la paralisi. Con quattro candidati presidenti che si inseguono sopra la soglia del 10% è quasi impossibile che uno di loro abbia il 36%, la golden share che garantisce il controllo della Regione. E questa è la peggiore notizia per la Liguria, che ha davvero bisogno di andare veloce e senza intoppi verso la revisione del bilancio, il taglio di troppe spese improduttive, l’ alleggerimento delle tasse locali, gli sgravi alle nuove imprese, la riduzione sapiente della spesa sanitaria, gli incentivi alle assunzioni in una terra dove la disoccupazione viaggia al 10,8%, un punto e mezzo sopra la media del Nord Ovest.

Ci sono alcune idee buone, qualche strafalcione e molti specchietti per le allodole nei programmi degli otto candidati. Il miglior presidente possibile sarà quello che da lunedì mattina si darà da fare per trasportare meglio i cittadini e le merci, togliere la Liguria dall’isolamento, rilanciare il turismo e l’industria, aiutare la gente onesta a pagare meno tasse e meno burocrazia, difenderci dalle catastrofi e dalla devastazione del paesaggio. Ma non potrà fare nulla senza una solida maggioranza”.

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