Repubblica: “Indagati Prada e il marito Bertelli, infedele dichiarazione redditi”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Gennaio 2014 - 11:42 OLTRE 6 MESI FA
Repubblica: "Indagati Prada e il marito Bertelli, infedele dichiarazione redditi"

Repubblica: “Indagati Prada e il marito Bertelli, infedele dichiarazione redditi”

ROMA – “Infedele dichiarazione dei redditi” scrive Emilio Randacio di Repubblica: “Indagati Prada e il marito Bertelli”.

L’articolo di Emilio Randacio:

 I nomi di Patrizio Bertelli e Miuccia Prada sono finiti sul registro degli indagati della Procura di Milano. L’accusa per l’amministratore delegato del gruppo e per la stilista ed erede del marchio è quella di «infedele dichiarazione dei redditi ». Insieme a loro, risultano indagati due manager della casa di moda milanese. L’inchiesta, che il dipartimento del procuratore aggiunto Francesco Greco ha affidato ai pm Gaetano Ruta e Adriano Scudieri, si basa su una contestazione dell’Agenzia delle Entrate per la presunta «esterovestizione» della Prada Holding, fino a poche settimane fa con sede legale ad Amsterdam. Su dieci anni di bilanci, sostiene oggi la Procura milanese, il colosso Prada avrebbe eluso le tasse italiane per un importo complessivo di 470 milioni di euro. La griffe — solo formalmente, secondo l’accusa — avrebbe trasferito in Olanda e anche in Lussemburgo la sede delle proprie principali società, garantendosi in questo modouna fiscalità più favorevole.
«In relazione alla ormai nota procedura di voluntary disclosure — fanno sapere i legali del gruppo, Stefano Simontacchi e Guido Alleva — gli atti di adesione in ragione del superamento delle soglie di rilevanza penale sono stati trasmessi d’ufficio alla Procura della Repubblica come previsto dalla legge avendo riferimento la fattispecie di omessa o infedele dichiarazione ». I difensori dei coniugi Prada reputano dunque un passaggio scontato il fascicolo aperto in Procura, anche se a Simontacchi e Alleva «allo stato non risulta che ci siano state iscrizioni nel registro degli indagati». E gli avvocati, comunque, si dicono fiduciosi di concludere positivamente anche la pendenza penale dei propri clienti. «In ogni caso le nuove norme di cui si attende l’entrata in vigore in materia di voluntary disclosure dovrebbero ritenersi applicabili al caso di specie, comportando così la depenalizzazione».
La contestazione mossa dalla Agenzia delle Entrate si è già conclusa, pochi giorni prima di Natale, con il versamento dell’intera somma allo Stato, ma soprattutto con il trasferimento dall’Olanda all’Italia della holding. Il contenzioso amministrativo era noto. Che la Procura avesse avviato parallelamente un’inchiesta, invece, era una notizia non ancora diventata pubblica.
L’ipotesi è molto simile a quella che nel 2010 ha investito l’altra griffe della moda, Dolce e Gabbana. In quel caso, ai due stilisti siciliani veniva originariamente contestato di aver eluso il Fisco per una cifra totale vicina al miliardo di euro (poi diminuiti a 200 milioni), trasferendo la sede della propria holding in Lussemburgo. Entrambi condannati nel giugno scorso a18 mesi in primo grado insieme a numerosi manager di D&G, attendono ora l’inizio dell’appello. Sul versante amministrativo, invece, la partita resta aperta e ora sarà la Cassazione a decidere se confermare o meno il risarcimento da 343 milioni di euro.
Diverso, invece, il discorso che riguarda il gruppo Prada. Patrizio Bertelli e la moglie Miuccia hanno già chiuso il contenzioso con il versamento da 470 milioni con il Fisco, che intermini tecnici si chiama «voluntary disclosure», ossia una regolamentazione volontaria della propria posizione. Resta, invece, in sospeso il capitolo con la giustizia penale.
Indagine fiscale su Prada. Il gruppo: tutto partito da noi. L’articolo di Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera:
Anticipare la futuribile nuova legge sul rimpatrio volontario dei capitali all’estero, fino a transare 420 milioni di euro all’Agenzia delle Entrate per riportare in Italia e regolarizzare fiscalmente la complessa rete di società che in Olanda e Lussemburgo costituivano la catena di controllo del gruppo Prada, a legislazione vigente non evita alla fondatrice Miuccia Prada e a suo marito Patrizio Bertelli, amministratore delegato dell’impero italiano della moda quotatosi in Borsa a Hong Kong nel 2011, di essere indagati dalla Procura di Milano per evasione fiscale: e precisamente per l’ipotesi di reato di «omessa o infedele dichiarazione», che i pm Adriano Scudieri e Gaetano Ruta contestano anche al commercialista di famiglia, Marco Salomoni.
«Di indagati non sappiamo allo stato», commentano il fiscalista Stefano Simontacchi e il penalista Guido Alleva, a conoscenza invece che nella «procedura di voluntary disclosure gli atti di adesione, in ragione del superamento delle soglie di rilevanza penale, come previsto dalla legge sono stati trasmessi d’ufficio» dal Fisco «alla Procura con riferimento alla fattispecie di omessa o infedele dichiarazione». Una coda penale rispetto alla quale i Prada come persone fisiche scommettono sul futuro, e cioè sull’approvazione a breve di una legge (di cui il premier Letta ha affidato lo studio proprio al procuratore aggiunto milanese Francesco Greco) che escluderebbe la punibilità penale per il contribuente che volontariamente riporti in Italia i capitali, ne ricostruisca la genesi, indichi i professionisti gestori, e paghi tutte le imposte evase (con sanzioni inferiori alle attuali): «Le nuove norme di cui si attende l’entrata in vigore in materia di voluntary disclosure — ragionano infatti i due legali di Prada — dovrebbero ritenersi applicabili al caso di specie, comportando così la depenalizzazione».
L’intesa con l’Agenzia delle Entrate, caldeggiata dalla Procura stessa, era stato annunciata dal gruppo Prada con il comunicato del 20 dicembre che, evocando «una cooperazione virtuosa con l’Agenzia delle Entrate» (senza però svelare l’entità della transazione), rivendicava «la volontaria iniziativa» della holding da 4.500 dipendenti «in un percorso già avviato con il fisco dal 2008» e per «coerente volontà di investire sull’Italia».
La concretizzazione è in realtà avvenuta non a dicembre ma già nel luglio 2013, tre mesi dopo che in aprile il Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano aveva — in una differente procedura — svolto un accesso amministrativo non nel gruppo Prada, ma nello studio (e soprattutto nei computer) del commercialista Salomoni, cioè del professionista che aveva costruito e gestito la struttura estera del gruppo Prada ora rimpatriata. Per le regole attuali, l’adempimento del debito fiscale non può sterilizzare il processo penale (da 1 a 3 anni) per l’esterovestizione societaria, ma vale al contribuente la riduzione di pena di un terzo, oltre a quelle per le attenuanti generiche e per il patteggiamento: pur nel caso per loro peggiore, insomma, i Prada potrebbero aspirare così a scendere intorno ai 6 mesi di reclusione, ai confini persino della commutazione della pena in sanzione pecuniaria.