Non c’è pace per Roberto Annese, il 33enne italo-venezuelano morto all’alba di sabato durante una protesta a Maracaibo, nello stato caraibico di Zulia. Dopo essere rimasto per ore su un marciapiede, vicino alla barricata che aveva alzato per protestare contro il governo socialista di Nicolas Maduro, ora è diventato anche oggetto di scontro tra chi sostiene sia stato ucciso dall’antisommossa e chi invece dice sia morto per un malfunzionamento nel mortaio artigianale, con cui stava sparando un grosso petardo sugli agenti.
«Non ci fanno vedere il corpo, non ci danno informazioni. Quelli che erano con lui sono in arresto e non possono parlare», dice lo zio Cosimo al telefono.Ma il capo della polizia, comandante Yepez, afferma in tv che quella notte i suoi uomini non hanno sparato neanche un colpo: «Il referto parla di manipolazione inadeguata di esplosivo». 
Su Internet circolano 4 scatti del corpo di Roberto, che sembrano confermare il decesso dovuto a un’esplosione. Sulla maglietta strappata si legge la scritta «Radonski presidente», dedicata al leader dell’opposizione Henrique Capriles Radonski. Sotto, il petto del ragazzo è divelto e bruciato, proprio nel punto in cui si appoggia la culatta dei mortai fatti in casa. «La ferita è stata provocata dalla polizia dopo la morte», urla un anti-chavista che si fa chiamare Fantasma. «Gli hanno sparato sul mortaio e gli è esploso in mano», risponde una ragazza.
L’unica cosa certa è che Roberto è diventata la 38esima vittima di una rivolta che dura da 44 giorni, che ha visto cadere persone su entrambi i fronti, e che il governo affronta coi bastoni in piazza e la carota di offerte di dialogo poco credibili, perché al contempo si continuano ad arrestare gli esponenti dell’opposizione. Rampollo di una delle famiglie più ricche di Maracaibo, Roberto ha abbracciato questa parte politica quando l’8 maggio del 2009 è stata espropriata la compagnia che aveva fondato suo padre, un emigrato pugliese.
«Ci hanno chiamato di notte e quando siamo arrivati in azienda abbiamo trovato una trentina di soldati», ricorda Cosimo. Insieme alla società d’armamento degli Annese, l’allora presidente Hugo Chavez nazionalizzò altre 73 compagnie, tutte legate all’estrazione di petrolio dal lago Maracaibo. «Date a Cesare quel che è di Cesare e al popolo ciò che è del popolo», disse lo scomparso comandante.
Ma i sindacati del petrolio di Zulia sostengono che con gli espropri si persero 10mila posti di lavoro e i salari caddero drasticamente. «Potrebbe essere tra un mese, un mese e mezzo, ma quando la gente avrà fame, scenderà in strada», disse all’epoca il delegato dei lavoratori, German Cortez. Ci sono voluti 5 anni e poi la sua profezia si è avverata. Anche se molti tra gli intellettuali e nei ceti poveri di questo Venezuela in crisi, continuano ancora oggi a credere nel sogno del socialismo del XXI Secolo.