Roma. Moglie del boss di Tor Bella Monaca abbassa paga ai detenuti

di Redazione Blitz
Pubblicato il 26 Luglio 2016 - 06:40 OLTRE 6 MESI FA
Roma. Moglie del boss di Tor Bella Monaca abbassa paga ai detenuti

Roma. Moglie del boss di Tor Bella Monaca abbassa paga ai detenuti

ROMA – Se un membro dei clan di Tor Bella Monaca a Roma si fa arrestare, si ritroverà con la paga abbassata. Questa la politica della moglie del boss di Tor Bella Monaca, Natasha Cordaro, per tagliare le spese, partendo così proprio dal tenore di vita dei detenuti e dei loro famiglia. Non più 150 euro a settimana, ma solo 100 euro: uno stipendio al ribasso che viene dato alle famiglie dei carcerati.

Ilario Filippone sul Messaggero scrive che la moglie del boss che gestisce i clan Cordaro e Crescenzi, è stata costretta alla spending review in tempo di crisi:

“Alla figlia e alla sorella della detenuta Elena Bucceri, l’addetta alla custodia delle armi finita in prigione, soltanto 100 euro in due settimane, non un euro in più. Gli agenti, in cuffia, hanno agganciato la voce di Michela Bucceri. Eccola mentre consegna il suo sfogo alla madre rinchiusa in carcere, le sue lamentele sono state intercettate dalle cimici della polizia: «Centocinquanta più centocinquanta – esordì – fanno trecento euro in due settimane, mancano 200, me li hanno levati».

«È UN PERIODO DI CRISI»
Tagli anche per pusher e vedette che stanno in strada: per i veterani 70 euro al giorno, prima ne incassavano 80. Per i novizi solo 50. Ed è subito scoppiata la protesta: sono stati i fedelissimi i primi a chiedere conto. «E che rimango a fa’ per 70 euro? Mi metto in proprio, devo campare moglie e figli» dice lo spacciatore Silvio Lumicisi. «Nei momenti di crisi finanziaria – scrivono gli investigatori – il sodalizio mette in atto un taglio degli stipendi».

Il blitz è scattato lo scorso 5 luglio, in manette sono finite 37 persone. Secondo gli inquirenti, Natasha Cordaro, 30 anni, è una donna dal piglio manageriale e dai modi davvero bruschi e violenti. Era lei che gestiva le finanze di casa. E dato che le entrate scarseggiavano, aveva deciso di avviare una serie di tagli su tutto. «Io ho una responsabilità – ripeteva a pusher e vedette – conto su 3mila euro, ma me ne portano 900, che devo fare? Ho 15 famiglie sulle spalle». Dopo l’arresto del marito, le sue parole erano diventate ordini. Un giorno, minacciò di morte un suo sottoposto, scontento del nuovo trattamento economico. «Nun te devi allarga’ – sbottò categorica – 50 euro e basta. E’ un periodo di crisi, è meglio che ti convinci, sennò te taglio la gola». Con un occhio agli investimenti, l’altro al bilancio, questo era il nuovo corso di donna Natasha.
Ancora: «Se c’è un momento di crisi e non si risale – disse al fedelissimo Silvio Lumicisi – non è che si scappa». L’uomo, solito guadagnare 80 euro al giorno, rispose: «Prima piavo 80, che rimango a fa’ per 70?». Perquisendo il bunker di famiglia, gli inquirenti hanno trovato un documento eccezionale, una sorta di libro mastro con date e cifre. Per il parco spacciatori e carcerati il clan spende in tutto 18.500 euro al mese, ma i Cordaro possono contare ancora su un cospicuo patrimonio. Dall’8 gennaio al 7 febbraio 2016 hanno incassato 124mila euro.

SOLDI E COCA PER UCCIDERE
L’hanno chiamata operazione R9, un blitz eseguito dagli agenti della Squadra mobile di Roma. Dalle carte dei magistrati salta fuori uno spaccato di odio e violenza: morti ammazzati, uomini duri e muti, vendette trasversali, donne che sanno, ma tacciono, padri di famiglia pestati con il cacciavite. Da un lato, la famiglia Cordaro, con a capo donna Natasha e il marito Valentino Iuliano. Dall’altro, i devoti di Stefano Crescenzi, condannato a 23 anni di reclusione per la morte di Serafino Cordaro.

Da anni, si contendono a fucilate il monopolio dello spaccio a Tor Bella Monaca. Per far fuori Serafino Cordaro, Stefano Crescenzi inaggiò un killer di professione, promettendogli un compenso di 10mila euro. E’ stato lo stesso sicario a riferirlo ai magistrati. Quando è finito in prigione, Giuseppe Pandolfo ha iniziato a collaborare con la giustizia. «Sapeva che avevo fegato, mi promise 10mila euro – ha svelato il pentito – ma mi diede 2.300 più 4 grammi di cocaina»”.