Romano Prodi al Fatto: “Caduta del mio governo? D’Alema mente”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Febbraio 2014 - 09:28 OLTRE 6 MESI FA
Prodi: "D’Alema mente. È una gabbia di matti e la chiave s’è persa"

Romano Prodi (LaPresse)

ROMA – Romano Prodi replica alla lettera di Massimo D’Alema, sul Corriere della Sera, dove l’ex ds ricostruisce gli ultimi giorni del primo governo Prodi, quando prese il posto a palazzo Chigi dell’unico esponente del centrosinistra che sia mai riuscito a sconfiggere Silvio Berlusconi.

Prodi, raggiunto al telefono da Emiliano Liuzzi del Fatto Quotidiano, non solo dice che così le cose non andarono, ma spiega di far “molta fatica a capire perché sia stata scritta quella lettera”. E, aggiunge, disarmante, ma tutt’altro che disarmato: “Ormai siamo in una gabbia di matti e qualcuno ha buttato via la chiave. Ma non voglio andare oltre. Quei giorni del 1998 hanno una loro storia, ci sono dei fatti. E quelli restano”.

Cosa accadde, retroscena a parte, è noto. E che un complotto di D’Alema ai danni di Prodi ci fu, lo sappiamo anche grazie a una intervista che Franco Marini rilasciò nel maggio 2001 al Corriere della Sera. Sia Marini, sia D’Alema in quei giorni avevano l’interesse di affossare Prodi. C’era un patto tra i due per far saltare Prodi e con lui lo spirito ulivista della coalizione. Obiettivo dell’accordo, ricordava nel 2001 Marini, era esaltare piuttosto il potere dei due partiti, Ds e Ppi. Al primo, con D’Alema a Palazzo Chigi, sarebbe spettata la presidenza del Consiglio. Al secondo sarebbe spettato nel 1999 il Quirinale. Poi il patto saltò quando al Quirinale andò Ciampi e Marini non la prese bene, ma questa è un’altra storia. Quel 9 ottobre 1998 Prodi rimase stritolato e con lui il futuro del centrosinistra.

In quell’autunno del 1998 a Marini spettò il compito di lavorare ai fianchi gli umori di Cossiga, decisivo in quell’equilibrio fragile (il governo Prodi non ottenne la fiducia per un voto) e D’Alema invece dovette ingraziarsi il Vaticano. Perché in quel momento un post comunista alla presidenza del Consiglio non era assolutamente gradito nella Chiesa. Ma c’è un passaggio chiave in tutto questo: il leader degli allora Ds, proprio in quei giorni, da presidente del Consiglio quasi incaricato, riesce a farsi ricevere pochi minuti da papa Giovanni Paolo II. Clemente Mastella definirà il colloquio “amorevole”.

Sembra storia vecchia, archeologia, ma in realtà, da quel momento in poi, D’Alema aprirà la breccia per quelle che sono le larghe intese che – pur essendosi materializzate solo anni dopo – già erano nell’aria da tempo. L’epilogo lo conosciamo. D’Alema a Palazzo Chigi durò abbastanza poco (…)