ROMA – “Matteo Salvini – scrive Paolo Bracalini del Giornale – supera Grillo nel consenso dei leader, ma Maroni lancia Tosi come l’anti Renzi del centrodestra in quota Carroccio”-
L’articolo di Paolo Bracalini:
Di «Fari», i comitati della fondazione politica del sindaco leghista Tosi («con l’obiettivo di sostenere le primarie del centrodestra e la candidatura di Flavio Tosi»), ce ne sono già una trentina in tutta Italia, da Trieste a Potenza. A Milano, e altrove in Lombardia, presto ne potrebbero nascere altri, dopo un incontro che ha scatenato un bel po’ di sospetti dentro la Lega nord di Matteo Salvini (che vola nei sondaggi e che, secondo Ixè-Agorà, sorpassa in popolarità Grillo piazzandosi secondo dietro Renzi). I consiglieri del gruppo civico maroniano in Regione Lombardia (gruppo a cui è iscritto lo stesso presidente Maroni) hanno invitato Tosi al Pirellone per un incontro (invito non esteso alla Lega, racconta l’Huffington Post), avvenuto giovedì, per sostenere l’azione politica di Tosi a livello nazionale, il suo programma contenuto nel manifesto «Ricostruiamo il Paese», e quindi la sua corsa a candidato premier in quota Lega in un’eventuale rosa di nomi del centrodestra.
Maroni non c’era, forse per non creare ulteriori retropensieri, ma c’era invece all’inaugurazione di un comitato tosiano a Pordenone, l’altra settimana, dove ha lanciato di fatto Tosi come l’anti-Renzi del centrodestra, con queste parole (riportate dal giornale on line L’intraprendente): «La spinta di Tosi è fondamentale per guidare il centrodestra, con la componente civica che è decisiva. Lo dico da leghista che ha sempre vissuto nel partito. Ci saranno resistenze enormi, ma ce la faremo. C’è molto da fare per rilanciare il centrodestra, ma noi sappiamo che Tosi c’è la può fare». Insomma un endorsement in piena regola, che non è passato inosservato nel Carroccio. E Salvini?
É vero che il «patto» non scritto al congresso federale che elesse Salvini leader del partito, prevedeva che sarebbe stato Tosi il candidato premier della Lega. Ma negli ultimi tempi, anche per via dell’ottimo risultato incassato dalla Lega alle Europee (6,15%) e dei sondaggi che la danno oltre l’8%, il segretario Salvini sembra allettato dall’idea di essere lui, e non Tosi nè Maroni, l’anti-Renzi a destra («Io futuro candidato premier per il centrodestra? Può essere, non vedo l’ora di sfidare Renzi» dice in radio). E dunque, la Lega che fa, ne sostiene due? «La linea politica della Lega la dà Salvini, non Maroni o Tosi, punto e stop. Ognuno si regoli di conseguenza» ti dice duro un fedelissimo di Salvini. L’indicazione è di non aprire fronti interni, divisioni, nuove spaccature tra cerchi magici e fronde, ma i sospetti circolano in abbondanza. Una Lega dentro la Lega? Un’idea diversa, che corrisponde a quel che Maroni aveva in mente quando lanciò Salvini come suo successore e sperimentò, come già Tosi a Verona, il successo delle liste civiche (quella di Maroni alle regionali prese il 10%, poco meno del Carroccio), più legate ai temi dell’impresa, del Nord produttivo, che non al leghismo celodurista. La Lega di Salvini doveva restare come baluardo dello zoccolo duro padano, ma in posizione minoritaria dentro quel movimento civico di centrodestra, senza corna o ampolle sacre, che Maroni e Tosi avevano – hanno – in mente (magari dialogando con Passera). Poi il boom, imprevisto, della Lega di Salvini ha scartabellato i piani.
Successi che non tutti i leghisti salutano con entusiasmo. «La linea populista e caciarona di Matteo funziona nel breve periodo perché parla alla pancia del Paese, ma non crea una proposta credibile di governo, nè una classe dirigente nuova» spiega un parlamentare leghista, uno dei critici verso il «caro leader», come qualcuno nella Lega chiama Salvini dopo la visita a Pyongyang. Il «lepenismo», la battaglia no euro, certe posizioni da «comunista padano», tutte battaglie che Tosi non condivide. Mentre Salvini imputa a Maroni scarsa incisività come governatore leghista, e Tosi una certa ambiguità. Così, mentre Salvini va avanti per la sua strada, quella della Lega dei popoli, Tosi e Maroni seguono la loro. Col pericolo che, prima o poi, le due strade vadano a scontrarsi.
“Il dualismo tra Tosi e Salvini che torna a dividere la Lega” è il titolo dell’articolo di Marco Bresolin per La Stampa:
Un anno fa, quando c’era da scegliere il suo successore alla guida della Lega, Roberto Maroni disegnò uno schema per evitare lo scontro tra Salvini e Tosi (entrambi pronti a candidarsi): il primo a capo del partito, il secondo al lavoro per costruirsi una leadership nel centrodestra in vista delle primarie. «Ricordo bene quel giorno – racconta oggi Tosi –, era un sabato ed eravamo nell’ufficio di Bobo a Palazzo Lombardia. Mancavano due ore alla presentazione delle candidature per il congresso. Siglammo un patto: Matteo avrebbe avuto il compito di rivitalizzare il partito, io quello di andare avanti con il progetto di un nuovo centrodestra. Io sto mantenendo fede a quel patto». Qualcun altro – sembra voler dire il sindaco di Verona, anche se non lo fa apertamente – no.
La crescente popolarità del giovane Matteo lo ha infatti già proiettato nel ruolo di leader dell’intera coalizione: «Se facciamo le primarie – dicono i suoi sostenitori – il candidato è lui». Maroni invece è rimasto fedele al suo progetto («La spinta di Tosi è fondamentale per guidare il centrodestra»), solo che ora non sa più come spegnere i bollenti spiriti di chi vede Salvini e solo Salvini.
È infatti bastato che i consiglieri regionali vicini a Maroni organizzassero un incontro con Tosi per scatenare gli ultras salviniani: «Traditori», «carbonari», e via dicendo. Sulla graticola c’è finito soprattutto Stefano Bruno Galli, politologo dell’Università di Milano e capogruppo della Lista Maroni in consiglio regionale. È stato lui a organizzare quella riunione con il sindaco di Verona. «Ma è Bobo a muovere i fili», accusa un fedelissimo di Salvini, sottolineando che il rapporto tra segretario e governatore sta scricchiolando. Ovviamente Galli nega, però assicura che i suoi consiglieri guardano con molto interesse al progetto di Tosi. «La forma partito è ormai una chincaglieria novecentesca – dice il consigliere-politologo –, oggi servono nuove forme di aggregazione del consenso. La Fondazione di Tosi punta a un cartello di liste civiche, vuole replicare su scala nazionale il modello Verona. È questa la strada da seguire».
Dentro la Lega, però, non tutti la pensano così. Ci sono le felpe e le cravatte. I duri e puri di Salvini (le felpe) insistono sulla strada presa dal segretario: una Lega movimentista, di lotta, «grillina». E l’uomo adatto da mettere sul piatto della coalizione è quindi solo e soltanto uno: Lui. Una visione che si scontra con quella dei leghisti più istituzionali (le cravatte), quelli che «va bene parlare alla pancia, ma poi bisogna governare». È questa la Lega di Maroni, quella che guarda a Tosi, aperta al dialogo con gli altri partiti. Certamente più di Salvini: ieri, per esempio, il sindaco di Varese Attilio Fontana, su ordine del segretario, ha dovuto estromettere dalla giunta il suo vice Carlo Baroni. La sua colpa? È di Ncd.
In questo dualismo Salvini-Tosi c’entra anche la storica rivalità lombardo-veneta, ma il vero scontro è sulla linea politica. L’unico punto in comune, in rottura con il passato, è la dimensione nazionale del progetto. «Però ricordo che sono stato io il primo a parlare di Italia e non più di secessione – sibila Tosi -, ora tutti hanno capito che è questa la strada». Salvini prova a smentire la competizione, ma di fatto ne ammette l’esistenza: «Avercene di rivali come Tosi». Rivali, appunto: l’ha detto lui.