Scioperi, in Italia dal 2009 al 2014 mille agitazioni l’anno

di Redazione Blitz
Pubblicato il 26 Luglio 2015 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
Scioperi, in Italia dal 2009 al 2014 mille agitazioni l'anno

(Foto d’archivio)

ROMA – Mille scioperi l’anno dal 2009 al 2014. Dove? Ovviamente in Italia. Che lo sciopero sia un diritto è innegabile. Ma è altrettanto innegabile che in Italia è un diritto rivendicato molto più che in altri Paesi. Il ritratto dell’uso (e abuso) dello sciopero nel Bel Paese è stato tratteggiato sulle colonne della Stampa di sabato 25 luglio da Mattia Feltri in un articolo dal titolo che più chiaro non si può: “Benvenuti nel Paese delle braccia incrociate”.

Scrive Feltri:

“È vero: ieri si è scioperato a Fiumicino, nella metropolitana di Roma e a Pompei, ma si può essere soddisfatti che non abbiano scioperato i doppiatori di cartoni animati o i bagnini di Rimini.

Lo sciopero infatti è un diritto, e i diritti incontrano le simpatie universali che i doveri si sognano: negli ultimi anni abbiamo seguito lo sciopero dei tifosi in protesta contro i modesti risultati delle loro squadre, delle prostitute fiorentine contro la riluttanza dei clienti a usare il preservativo, e degli allevatori abruzzesi in richiesta di un piano ovicaprino nazionale, altrimenti ci sarebbe stato «lo sciopero generale delle pecore in tutti i presepi». Qui si intravede almeno dell’ironia invece sconsigliabile se si parla dello sciopero più bizzarro e drammatizzato del mondo, quello dei parcheggiatori abusivi in centro a Palermo o davanti al Cardarelli di Napoli. «Siamo stanchi di prendere multe», dicevano i parcheggiatori abusivi rivendicando l’onestà di padri di famiglia che s’arrangiano senza «essere mafiosi».

(…) Dal 2009 al 2014 si sono calcolati oltre mille scioperi all’anno, non meno di mille e duecento, spesso oltre i mille e trecento, e cioè circa tre scioperi e mezzo al giorno con quasi duecento giorni di sciopero, l’anno scorso, soltanto nel trasporto pubblico locale. E qui non si calcolano gli scioperi di treni e aerei e navi e traghetti, di piloti, di hostess, di personale viaggiante e personale di terra in un groviglio di rivendicazioni che – dicono i dati della Commissione garanzia sciopero – nell’ottanta per cento dei casi si fanno imperiose soprattutto di venerdì e di lunedì. L’orgoglio di categoria si scatena in coincidenza con il week end un po’ per tutti e di solito è facilmente prevedibile: se si delinea una riforma della pubblica amministrazione sciopererà la pubblica amministrazione, se si delinea una riforma della magistratura sciopererà la magistratura, se si delinea una riforma del lavoro sciopererà chiunque.

Questo non ci impedisce di imbatterci in scioperi estemporanei, quello dei pescatori adriatici contro l’ostile legislazione europea e il caro gasolio, quello delle mogli dei pescatori siciliani contro le limitazioni di pesca del tonno rosso, quello dei lavoratori delle librerie Feltrinelli contro la «perdita dell’anima» dei negozi ridotti a «centri commerciali» della cultura, quello dei telespettatori contro la modestia filosofica dei palinsesti, sciopero organizzato a Milano con la graditissima partecipazione (si disse qualche anno fa) di alcune esasperate famiglie-Auditel. Gli innocenti qui sono pochi.

(…) Si è visto scioperare persino i vigili e i commessi l’Oréal, perché in Italia lo sciopero è quasi una scadenza, una cambiale da pagare a sé stessi, talvolta lo sciopero è un esercizio di protervia fantasiosa e chi scrive ricorda di aver scioperato da studente perché il preside aveva negato l’autorizzazione a installare l’albero di Natale in classe, e siccome il medesimo preside negò poi anche l’autorizzazione allo sciopero fu automatico e inappellabile lo sciopero contro la compressione del diritto di sciopero. E alla fine il dolore inconsolabile riguarda l’unico sciopero che tutti amavamo alla follia e che, guarda caso, è anche l’unico a essere scomparso dalla faccia della terra: quello ai caselli dell’autostrada”.