Sciopero Forconi. Letta-Renzi, prima intesa: rassegna stampa del 10 dicembre

di Redazione Blitz
Pubblicato il 10 Dicembre 2013 - 07:35 OLTRE 6 MESI FA
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La prima pagina del Corriere della Sera del 10 dicembre

ROMA – Ore di guerriglia nelle città. Il Corriere della Sera: “La protesta dei Forconi dilaga nelle città: ore di guerriglia, traffico nel caos, vie inaccessibili, treni cancellati. A Napoli, Roma, nel Veneto. Nelle strade disoccupati, studenti, pensionati. A Genova sono stati occupati i binari della stazione. A Torino il caso dei poliziotti che si sono tolti il casco.”

L’assalto dei Forconi, caos e bombe carta. L’articolo a firma di Erika Dellacasa:

Bombe carta, bottiglie, sassi, petardi così il movimento dei Forconi a Torino ha dato l’assalto ai palazzi della politica al grido di «ladri, ladri» e «tutti a casa». In tenuta anti-sommossa gli agenti hanno risposto con il lancio dei lacrimogeni ma, alla fine, sono stati applauditi da un gruppetto con le bandiere tricolore. Bloccate le vie del centro, occupate le stazioni ferroviarie di Porta Nuova e Porta Susa, Torino è rimasta per ore prigioniera di una massa indistinta, disoccupati, studenti, pensionati, ma anche ultras della Juventus con i simboli dei «Drughi» e appartenenti a CasaPound e all’estrema destra. I commercianti che non avevano abbassato la saracinesca sono stati minacciati, un gruppetto entrato nel caffè Caval ‘D Brons in piazza San Carlo ha preso a calci le vetrine. Piazza Castello è stata il teatro degli scontri più duri: quattordici agenti feriti, un fotografo dell’Ansa malmenato e derubato, un manifestante fermato.

Nel resto d’Italia la protesta dei «Forconi» ha provocato blocchi stradali a pioggia e qualche interruzione ferroviaria ma è stata la Liguria, colpita da una serie di blocchi da Ventimiglia a La Spezia, a restare semi paralizzata. Il confine con la Francia è stato interdetto per ore: oltre a Ventimiglia i manifestanti hanno occupato la stazione ferroviaria di Imperia dalle 11 e 45 alle cinque e mezza del pomeriggio, impossibile per i treni arrivare al confine, impossibile per chi arrivava dalla Francia proseguire oltre Taggia. «Non abbiamo potuto organizzare servizi sostitutivi perché c’erano blocchi anche al casello autostradale di Imperia e sull’Aurelia» hanno comunicato le Ferrovie. Diciassette i convogli coinvolti. A Genova il blocco della stazione Brignole ha provocato ripercussioni e cancellazioni per 70 treni (4 Frecciabianca, 6 Intercity e 60 regionali). Il traffico è ripreso con difficoltà dopo le sei di sera ma oggi viaggiare è un’incognita: «Scendiamo in piazza e blocchiamo tutto finché i politici non se ne vanno a casa» hanno promesso i leader improvvisati della protesta: «E venerdì tutti a Roma».

Via i caschi, baci, strette di mano I gesti dei poliziotti sono un caso. L’articolo a firma di Marco Imarisio:

L’unica cosa che resterà di questa giornata è un casco. Alle 10.30 del mattino piazza Castello è una babele di lacrimogeni e pezzi di granito che volano in cielo. Sembra quasi la conclusione logica di una protesta organizzata non si capisce come e perché, dove non esiste una lingua comune. Il presidio degli ambulanti che doveva bloccare il centro della città ormai è un punticino nascosto in fondo a palazzo Reale. Nessuno ascolta le parole urlate al megafono da un tizio che indossa un cappio al collo. «Noi siamo del popolo, con la valigia di cartone».

GUARDA IL VIDEO: Sciopero Forconi 9 dicembre Torino: poliziotti tolgono casco, applauditi

I cartelli appesi alle inferriate della residenza storica dei Savoia riflettono lo spirito ambiguo di questa manifestazione, mischiando inviti alla rivolta permanente con quelli di una rivoluzione guidata dai militari. «Come in Cile», dice Santo Marra, uno dei capi. Gli obiettivi della protesta sono davvero uno nessuno e centomila. «Politici, amministratori e sindacati, ladri legalizzati» è scritto sullo striscione più grande. Ma tutto questo è ormai rumore di fondo. Quando in piazza entrano gli ultrà di Toro e Juventus per una volta uniti appare chiaro che quel camion, e quelle parole hanno soltanto svolto una funzione da pifferaio magico.

La piazza adesso è degli ultrà di Toro e Juventus, per una volta uniti, degli ambulanti più aggressivi, di qualche militante di estrema destra, di chiunque abbia frustrazione e rabbia da sfogare. Era nei cromosomi della manifestazione, del resto. Ancora devono cominciare gli scontri e dal megafono si sente una invettiva contro la catena dei supermercati Auchan. «Questi conigli francesi ci rubano il lavoro» urla un ambulante. «E ci portano pure via le mogli» aggiunge scoppiando in singhiozzi. In un calderone del genere l’unica stella cometa è il palazzo della Regione, dall’altro lato della piazza, facile bersaglio di ogni disprezzo, magnete di qualunque rancore. I poliziotti sono schierati spalle al muro, in una posizione complicata. Dal fondo della piazza avanza una moltitudine di tifosi dalle intenzioni chiare. A metà strada c’è un cantiere con tante lastre di granito una sull’altra, in piazza Castello stanno rifacendo il selciato. Gli scontri durano una mezz’ora. Il lavoro della Polizia è complicato da un dettaglio non da poco, in ogni senso. L’età media della forza d’urto protagonista della sassaiola è molto bassa. Sono quasi tutti minorenni, ragazzi in libera uscita dalle loro scuole. La trattativa tra gli uomini della mano della protesta e i capi ultrà decreta la fine dell’esercizio di guerriglia urbana.

Gruppi Diversi senza un’anima comune. Un miscuglio di collera e disagio. L’articolo a firma di Dario Di Vico:

In un lungo lunedì che ha conosciuto momenti di ordinaria follia il logo dei Forconi è riuscito a imporsi lungo tutta la penisola come un franchising del disagio e della collera. Alle varie manifestazioni che si sono tenute in tante città italiane con le forme più varie (blocchi stradali e ferroviari più o meno temporanei, cortei, volantinaggi, presidii) hanno partecipato padroncini dei Tir, ambulanti, cassaintegrati, studenti e disoccupati. È capitato persino che a Brindisi la protesta abbia incontrato il favore attivo dei commercianti mentre a Torino sono stati proprio i negozianti a chiudere le saracinesche per paura dei tafferugli scatenati dai manifestanti.

Di tutto di più. E del resto l’obiettivo dei Forconi, movimento nato in Sicilia, era proprio questo: dare voce ai soggetti sociali più disparati vittime della recessione e privi di una rappresentanza stabile. A Bologna la protesta si è indirizzata direttamente contro Equitalia, ad Ancona contro la sede Rai e in Sicilia ha partecipato ai cortei anche l’Associazione pro stamina. A Perugia si è sfilato contro l’austerità e a Genova si sono sentiti slogan contro le privatizzazioni. Il motivo scatenante della protesta — la legge di Stabilità che colpirebbe i piccoli autotrasportatori — è passato decisamente in secondo piano in una giornata in cui Marcello Longo, leader di Trasportounito, ha emesso una raffica di comunicati un po’ su tutto: ha denunciato che i suoi erano stati manganellati, ha messo in guardia minacciosamente il premier Enrico Letta, ha chiesto le dimissioni del ministro Maurizio Lupi e, infine, ha incitato i manifestanti a proseguire nella lotta.

Dal punto di vista sindacale alcune tra le maggiori organizzazioni di categoria dei camionisti — quelle che fanno capo a Confartigianato e Cna — sostengono che i Forconi hanno solo bucato l’acqua, la stragrande maggioranza dei Tir in Italia ha girato, non ci sono stati blocchi alle forniture industriali e ai rifornimenti commerciali. Insomma, a sentir loro, non si può fare nessun paragone con i fermi dei camion che in tante precedenti occasioni — e con quasi tutti i governi — avevano bloccato davvero il Paese e avevano messo in ginocchio l’economia. Proprio l’adozione di una forma di lotta da guerriglia urbana come a Torino e di blocco della circolazione ferroviaria come in Liguria dimostrerebbe la mancata adesione della categoria e i Forconi, alla stregua del famoso esercito di Franceschiello, avrebbero fatto ammuina proprio perché non sarebbero riusciti a dare una vera battaglia sul fronte dei Tir. È chiaro che occorre procedere con molta cautela nelle valutazioni, le grandi e medie organizzazioni di categoria che erano state le prime a indire il fermo dal 9 al 13 dicembre hanno nel frattempo strappato al governo Letta un accordo sul rimborso delle accise che giudicano vantaggioso e che di conseguenza difendono, ma la giornata di protesta si è articolata e sminuzzata in tanti episodi che è pressoché impossibile stilare un bilancio credibile.

Renzi subito da Letta per la fase due “Non voglio far cadere il governo”. La Repubblica: “I due leader: “Avanti insieme”. Ma anche Alfano vuole un patto.” L’articolo a firma di Alberto D’Argenio:

Un salto in ufficio a Palazzo Vecchio e una prima sortita mediatica via Facebook: «È l’ultima occasione, gli italiani non ce ne daranno più». Si apre così, a Firenze, la giornata del debutto di Matteo Renzi. Il nuovo segretario del Pd parte per Roma ma questa volta viaggia in macchina, deve rinunciare al treno, uno dei simboli mediatici del sindaco, perché la stazione di Santa Maria Novella è assediata da cronisti, fotografi e cameramen. Un piccolo bagno di folla all’ingresso del Nazareno, dove Renzi entra per la prima volta da numero uno del partito. L’incontro con il segretario uscente, Guglielmo Epifani, e con lo sfidante secondo classificato, Gianni Cuperlo. Polemizza Pippo Civati, il terzo delle primarie non invitato nel giorno dell’esordio: «Bell’inizo». Una giornata che Renzi chiuderà a colloquio con il premier Enrico Letta al termine del quale i due leader affermeranno: «Insieme lavoreremo bene».

La prima conferenza da segretario di Renzi è nel pomeriggio in una sala stampa del Nazareno piena come non si era mai visto. Epifani conferma il dato che sancisce il successo delle primarie: «Hanno votato 2,9 milioni di persone, una cifra di grande importanza in tempi di antipolitica». Poi il palcoscenico è di Renzi. Che esordisce sottolineando che «prima dell’ambizione personale in un momento così difficile viene la necessità di dare risposte concrete, di dare subito dei segnali, non c’è un minuto da perdere ». Segue l’atteso annuncio della segreteria, una squadra a suo modo rivoluzionaria, con un’età media di trentacinque anni e un peso specifico decisamente femminile: sette donne contro cinque uomini. Si passa alle domande, Renzi adotta un tono colloquiale con i cronisti, veloce al limite dello sbrigativo ma puntuale nei contenuti. Si concede qualche battuta come quella su Mike Bongiorno («ci manca») che da ragazzino lo ebbe per cinque puntate alla “Ruota della fortuna”.

Alla domanda se il governo rischi dopo la sua elezione alla guida del Pd, il sindaco risponde che «il ritiro della fiducia non è all’ordine del giorno, al contrario, ieri i cittadini hanno detto che è venuto il momento di fare sul serio». Anzi, «il punto non è far cadere l’esecutivo, ma farlo lavorare affinché ottenga risultati e dia risposte ». Una sferzata che in caso di cambiamento del quadro politico può servire da exit strategy. Anche sul partito Renzi tranquillizza, dice che «lavoreremo insieme, l’unità non è a rischio» e «non ci sarà nessun braccio di ferro con i gruppi parlamentari, gli elettori hanno dato una direzione, si discute e si dialoga ma nonc’è nessuna imposizione a fare le cose che piacciono a me». Sui contenuti Renzi chiede di «uscire dalla logica del rinvio», a partire dalla nuova legge elettorale. Chiede la fine del bicameralismo perfetto, il taglio dei costi della politica, un piano per il lavoro e uno per l’Europa. Il sindaco si scansa dalla Legge di stabilità ora all’esame della Camera, affermache il lavoro del responsabile economico della nuova segreteria, Filippo Taddei, «si concentrerà sul 2014». La manovra di quest’anno, insomma, è da mettere in conto al Pd di Epifani.

“Matteo ha vinto ma non usi la clava noi non ci faremo chiudere in un recinto”. L’articolo di Repubblica a firma di Tommaso Ciriaco:

«Ma davvero abbiamo vinto a Bettola? Devo chiamare i ragazzi, ringraziarli». Almeno in patria, profeta. Almeno lì il Pd non ha voltato le spalle alla Ditta di Pierluigi Bersani. In Transatlantico, però, aleggia la “rottamazione”. L’ex segretario sorride quando lo dipingono come l’ultimo dei Mohicani: «Ho più di sessant’anni. Sono a disposizione del partito».

Partiamo da Renzi. Qualcosa le dovrà pur piacere…

«Mi piace la sua immediatezza, l’energia, lo slancio, la freschezza. Ora bisognerà vedere cosa ha in mente per il partito. In fondo, il punto è quello di sempre: il Pd deve decidere se essere spazio o soggetto politico. E se essere impermeabile ai potentati».

Renzi può essere “impermeabile”?

«Lo vedremo, dovrà dimostrarlo. Certo, ha la personalità e la forza per interpretare in autonomia che cos’è il Pd».

Appena insediato farà cadere il governo?

«Non credo».

E voi? I dati sembrano indicare che avete sbagliato candidato.

Ride, Bersani. «Non si sbaglia mai candidato. E poi un’onda di quel genere non si frena. Se c’è una cosa che posso rimproverare a Gianni Cuperlo è che lui è un uomo per bene, come pochi. Io da tre anni mi ero messo in ginocchio per chiedergli di andare in tv… Ma lui è fatto così, è un grande e va rispettato. D’altra parte, sa, a volte il pensiero è una fregatura… ».

Intanto, però, avete raccolto il 18%.

«Renzi ha ottenuto una vittoria netta. Sono pronto a lavorare per il Pd. Nessuno gli metterà i bastoni tra le ruote.

Ha chiesto disciplina, io sono qui».

E Civati, l’outsider?

«Tante cose che dice sono condivisibili. Ma se dice che

da segretario del Pd toglierebbe la fiducia, fatico a capire…».

“È finita una classe dirigente”, ha scandito Renzi domenica sera. Parlava anche di lei, onorevole.

«Non si può usare la clava. Questa è una ruota, non c’è dubbio. Va benissimo il rinnovamento – e d’altra parte, guardate ai nostri gruppi parlamentari ma serve anche l’esperienza. Renzi deve ricordare che se tuttisono qua è perché qualcuno ci ha preceduto e ha reso possibile tutto questo portando la fiaccola».

Insomma, la sinistra non è finita?

«La sinistra esiste in natura, vedrete che produrrà ancora fiori rigogliosi. Avrà la forza di rigenerarsi e uscirà fuori qualche leader che non immaginiamo».

I big di Internet in rivolta ultimatum a Obama “Ora ferma le spie online”. Leggi l’articolo di Repubblica a firma di Federico Rampini:

«Caro Presidente, membri del Congresso, noi capiamo che i governi hanno il dovere di proteggere i cittadini…» Comincia così, e occupa un’intera pagina sulNew York Timese altri quotidiani Usa. Si conclude con le firme dei “logo” più celebri dell’economia digitale. Ci sono proprio tutti: Apple e Aol, Google e Facebook, Microsoft, Twitter, Yahoo e Linkedin. Per una volta i giganti di Internet mettono da parte rivalità e competizione, per rivolgere una lettera aperta a Barack Obama e ai parlamentari. L’allarme è forte, per il dilagare incontrollato di un’attività di spionaggio che sembra sfuggire a ogni regola. Il pericolo vitale per gli interessi del business spinge i leader mondiali del cyber-spazio a formare questa santa alleanza, un’iniziativa senza precedenti.

«Le rivelazioni di quest’estate — prosegue la lettera aperta con un riferimento implicito a Edward Snowden — hanno messo in luce l’urgente bisogno di riformare le pratiche di spionaggio dei governi a livello mondiale ». Non sentono il bisogno di avvolgere il messaggio in un galateo diplomatico, l’accusa rivolta a Washington è chiara: «L’equilibrio si è sbilanciato troppo a favore degli Stati e a scapito dei diritti individuali, diritti che sono garantiti nella nostra Costituzione». Dunque la Silicon Valley scende in campo con tutta la sua forza politica, lancia un altolà, con l’accusa a Washington di violare la Costituzione, una carta fondamentale che qui non viene presa alla leggera. Tra l’altro un riferimento così esplicito alla carta dei diritti può preludere a un ricorso presso la Corte suprema. Ma nell’immediato il calendario politico offre altre opzioni. Proprio questa settimana la Casa Bianca riceve le conclusioni del lavoro di un gruppo di esperti, incaricati di suggerire nuove linee direttive per l’attività di spionaggio della National Security Agency (Nsa). Obama vi ha fatto riferimento giovedì scorso in un’intervista alla reteMsnbc. «Abbiamo fatto fare un riesame indipendente — ha dichiarato il presidente — coinvolgendo esperti dei diritti civili, giuristi e altri. Su quella base io proporrò alcune auto-limitazioni della Nsa, e metterò in moto delle riforme per dare più fiducia ai cittadini».

La lettera aperta dei giganti digitali ha una tempistica calcolata per influire sul dibattito politico che si riapre a breve. Google e Microsoft hanno preso l’iniziativa di cementare la vasta coalizione d’interessi, e hanno presentato anome dell’intera industria delle proposte dettagliate per regolamentare lo spionaggio online. La pressione di questi gruppi non può essere ignorata dalla Casa Bianca e dal Congresso: è nel settore hi-tech che si collocano alcune delle più vaste ricchezze d’America, i nuovi magnati della Silicon Valley e dintorni non esitano a scendere in campo con finanziamenti elettorali.