“La scortesia linguistica nelle e-mail di lavoro”, come un capo non dovrebbe mai rivolgersi a un collaboratore

di Redazione Blitz
Pubblicato il 27 Gennaio 2014 - 10:04 OLTRE 6 MESI FA
"La scortesia linguistica nelle e-mail di lavoro", come un capo non dovrebbe mai rivolgersi a un collaboratore

“La scortesia linguistica nelle e-mail di lavoro”, come un capo non dovrebbe mai rivolgersi a un collaboratore

ROMA, 27 GEN – “Non so se hai capito che qui tira una brutta aria”, “Se non consegni entro stasera saranno guai”, “È evidente dal tuo lavoro che avevi molta fretta”: queste sono solo alcune delle frasi che un capo non dovrebbe mai dire a un collaboratore. A spiegarlo a manager e professionisti italiani c’è uno studio, “La scortesia linguistica nelle e-mail di lavoro”.

L’articolo di Vera Schiavazzi su Repubblica:

Lo spiega la ricerca — “La scortesia linguistica nelle e-mail di lavoro” — che sarà presentata domani al Rettorato dell’Università di Torino: il titolo, “Modera i toni!” e i relatori, la linguista Maria Cecilia Andorno insieme all’autore dello studio, Michele Razzetti, promettono inedite istruzioni per l’uso. «Il punto di partenza — spiega Razzetti, che ha fondato la sua analisi sul “corpus” di mail scritte e ricevute nel corso di alcuni anni di vita lavorativa in Italia e all’estero — è radicalmente diverso da quello della netiquette (il galateo di internet, ndr.). Ho cercato invece di analizzare gli equivoci più frequenti nei quali si incorre scrivendo una mail, di solito in fretta, e soprattutto gli effetti che i nostri errori producono nell’altro, trasformandosi in veri e propri attacchi, quelli che in inglese si chiamano face-threatening acts». Così, si è calcolato che nel 26,7 per cento dei casi chi inizia una conversazione di lavoro via mail esprime “critiche o lamentele taglienti” (specie quando si rivolge a un sottoposto, a un consulente o a un fornitore). Nel 13,7 per cento dei casi, dal testo traspare un “atteggiamento di superiorità”, e non mancano, sia pure in misura minore, insulti, minacce e supposizioni sgradevoli (quasi il 5 per cento in totale). I primi tranelli stanno nell’intestazione a più persone, dove ognuno può risentirsi per l’ordine nel quale è stato collocato o per la diffusione in copia di messaggi che immaginava riservati. Superato anche il fastidio dei messaggi senza oggetto, si arriva all’incipit. E mentre nel mondo anglosassone si comincia con un “Thank you for your message”, anche se non si è contenti della mail ricevuta, creando un minimo di condivisione, in italiano si scivola su un “Carissimo” di troppo e in generale su un eccesso di Prof, Ing, Avv e Spettabile che riproducono il vecchio linguaggio delle lettere commerciali ma suonano incongrui sullo schermo di un pc. Nel dubbio, meglio un ecumenico “gentilissimi tutti”. È dalla seconda riga, però, che possono cominciare i problemi seri. L’uso “minaccioso” delle maiuscole (l’esempio più comune? URGENTISSIMO) è irritante e inefficace, e induce nel destinatario la sensazione di essere perseguitato, sminuito o considerato poco affidabile. È vietato, o dovrebbe esserlo, minacciare di sanzioni i collaboratori e i sottoposti se non raggiungono un obiettivo o mancano una consegna: non si tratta di buonismo ma di evitare contenziosi anche in sede legale. Meglio, se si deve sollecitare, un testo stringato che dia il senso della difficoltà collegata al ritardo: “Scusami Paolo, ma devo davvero pregarti di inviarmi la relazione entro stasera, altrimenti non riuscirò a presentarla al comitato. Ti ringrazio, buon lavoro”. Non mancano le differenze di genere: le donne sono più empatiche degli uomini, e il loro linguaggio “simpatizzante” spesso ottiene risultati migliori quando si tratta di farsi rispondere anche dall’altra parte del mondo. Sgradevoli quanto fuorvianti sono le mail prive di saluti finali e firma, che inducono nell’interlocutore il sospetto che qualcosa sia andato perso. No, infine, anche alle trattative economiche via mail, e attenzione ai giudizi sui lavori già presentati: “Questa prova non ci convince”, può essere ben sostituito con “Prova interessante, ti chiediamo però di tentare anche un’altra strada…”. Il risultato sarà decisamente migliore se l’interlocutore non “perde la faccia”.