Sparatoria Palazzo Chigi, M5s, Imu, serie A: rassegna stampa e prime pagine

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Aprile 2013 - 09:57 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – “Volevo sparare ai politici”. La Stampa: “Un disoccupato esplode 12 colpi davanti a Palazzo Chigi: feriti due carabinieri, uno gravissimo L’attentato mentre giura il governo. Choc tra i ministri, Letta: “Ora ognuno faccia la sua parte”.

Folle raid contro il potere Paura e feriti a Palazzo Chigi. L’articolo a firma di Andrea Malaguti:

“La bambina si mette le mani sulle orecchie. È la prima a capire che quel signore elegante che arriva con passo deciso da piazza Montecitorio è vestito come a un funerale. Cerca la morte. Si chiama Luigi Preiti, ha un naso inclinato come una luna calante e vuole «ammazzare dei politici». Sarà lui a raccontarlo . Non ha preferenze. Va bene chiunque. E vanno bene anche le forze dell’ordine che li difendono. Sparerà a loro e poi sparerà a se stesso, annientando la sua esistenza da cinquantenne divorziato, senza lavoro e senza futuro, ridotto da dodici mesi a passare le serate solitarie in ristoranti squallidi della periferia calabrese, con soffitti macchiati di umidità e di fumo, dove anche gli avventori hanno la stessa aria del locale. Odia il mondo. Odia i palazzi romani, il blablabla che non capisce, il privilegio, la casta. E in definitiva odia se stesso. Un pazzo? La psichiatra che lo visiterà più tardi all’ospedale San Giovanni dirà di no. Un disperato. «Non sono neanche riuscito a uccidermi».”

“I politici rubano Volevo colpirne uno e poi ammazzarmi”. L’articolo a firma di Guido Ruotolo:

“Che fosse stato lui a colpire i due carabinieri in servizio di ordine pubblico a piazza Colonna non era in discussione. Gli inquirenti volevano avere la certezza che ad agire fosse stato solo lui, insomma che si fosse trattato di un «gesto isolato». E, dunque, di fronte a una ammissione che si è spinta addirittura a riconoscere una premeditazione («Erano venti giorni che pensavo di compiere un gesto eclatante»), i magistrati hanno avuto la certezza che avevano di fronte l’unico autore, mandante ed esecutore di un «gesto isolato». Un problema, questo, da un certo punto di vista. Quello dell’ordine e della sicurezza, per esempio. Che pone le forze di polizia di fronte a uno scoglio insuperabile: «I gesti isolati offensivi dettati da motivazioni di disagio sociale, pur essendo prevedibili non sono prevenibili. Dobbiamo lavorare per tentare di ridurre il danno, non di eliminarlo».”

Grillo sotto accusa. Lui: “No alla violenza”. L’articolo a firma di Flavia Amabile:

“Quelle parole sono troppo recenti, le ricordano bene in molti. Sono gli «arrendetevi», i «siete morti», il desiderio di un missile sul Parlamento. E, quindi, il primo pensiero di una parte dei politici da sempre presi di mira da Grillo va proprio al comico genovese quando è chiaro che a sparare davanti a palazzo Chigi non è stato un terrorista né un gruppo ma una persona che ha agito da sola e che alle spalle ha una vita personale non semplice. Grillo fiuta il pericolo e si affretta a prendere le distanze: «Ci discostiamo da quest’onda che spero finisca lì perché il nostro Movimento non è assolutamente violento», rassicura sul blog. Anche i capigruppo Vito Crimi e Roberta Lombardi scrivono una nota a nome di tutti i parlamentari del Movimento Cinque Stelle per esprimere la loro «ferma condanna».”

Grasso: “La politica misuri il linguaggio L’odio è contagioso”. L’articolo a firma di Francesco La Licata:

“Il Presidente del Senato, Pietro Grasso, per il mestiere che svolgeva prima di approdare alla politica, è uomo abituato all’analisi, all’approfondimento e poi all’esternazione. Sulla sparatoria a Palazzo Chigi, ieri mattina, ha atteso prima di esprimersi. Le prime notizie giunte, infatti, prospettavano uno scenario molto diverso da quello reale: si parlava di attentatore, di conflitto a fuoco, di criminali in fuga. Un quadro a tinte scure che riportava alla memoria i momenti più difficili della nostra Repubblica. Poi è arrivata la versione «reale», quella di un episodio attribuibile all’operato di un personaggio isolato, con qualche problema di stabilità emotiva. Una prospettiva un po’ meno inquietante, Presidente? «Fino a un certo punto. Perché fa male toccare con mano lo scollamento, la distanza che separa le istituzioni dai cittadini. Io intravedo una grande incognita in questa contrapposizione tra popolo e politica, grande almeno quanto il pericolo dell’eversione. Non può liquidarsi in modo consolatorio una realtà che ospita uomini disperati e quindi disposti a tutto. Bisogna intervenire per interrompere questa caduta».”

Al Quirinale con la Panda ma il basso profilo dura poco. L’articolo a firma di Michele Brambilla:

“Ci sono due scene che raccontano meglio di qualunque analisi la morte in culla del low profile che i politici avevano adottato per andare incontro alla richiesta di sobrietà, o meglio di normalità, che sale da un Paese in crisi. Un regista cinematografico ne ricaverebbe immagini suggestive. Prima scena. Nove e cinque minuti del mattino, stazione Termini. Al binario tre arriva il Frecciargento 9401 proveniente da Venezia. Dalla carrozza numero sei, seconda classe, scende il nuovo ministro dello Sviluppo economico Flavio Zanonato, accompagnato dalla moglie, dalla figlia, da una nuora e da un amico medico. Era salito a Padova alle 5,53. Due funzionari della prefettura lo attendono. Devono condurlo dal Presidente della Repubblica per il giuramento. Zanonato chiede di aspettare un attimo: vuole prendere un caffè al chiosco della stazione. «Signor ministro, non è il caso», gli dicono i funzionari. Seconda scena. Mezzogiorno e un quarto. Cortile del Quirinale. Il nuovo ministro degli Affari regionali Gaetano Delrio sta per uscire con la moglie e una squadra di figli. «Ministro li ha portati tutti?», gli chiedo. Delrio ha nove figli. «No», sorride, «solo sei, i tre più grandi ormai mi snobbano, hanno preferito andare a un concerto». Doveva essere un giorno di festa ma si vede che qualcosa ha cambiato tutto. «Abbiamo saputo. Bruttissimo episodio. Volevano darmi la scorta per andare a Palazzo Chigi, ma ho detto di no», dice Delrio.”

L’ira dei grillini sotto accusa: le forze dell’ordine ci votano. L’articolo de Il Corriere della Sera a firma di Alessandro Trocino:

“Tra i primi a intervenire con una «ferma condanna» dell’attentato di Palazzo Chigi ci sono i due capogruppo del Movimento a 5 Stelle, Roberta Lombardi e Vito Crimi. «Excusatio non petita accusatio manifesta», commenta un lettore del blog di Beppe Grillo. «Avete la coda di paglia», dice un altro. Ma l’accusatio c’è, proviene da più parti politiche (soprattutto dalla destra, ma anche dal Pd Enrico Gasbarra) e accusa il Movimento di avere armato simbolicamente la mano dell’attentatore, fomentando la rabbia con la violenza verbale e i toni alti di questi mesi. I parlamentari a 5 Stelle rifiutano con sdegno le accuse e nessuno giustifica la violenza. Ma in quella sentina d’odio e di risentimento nella quale si trasforma spesso la rete, si scatena anche una ridda di reazioni di sostenitori (o presunti tali) del Movimento, che non si limitano a rifiutare l’accusa ma la ribaltano, accusando la «casta» di avere ridotto il popolo a compiere atti di disperazione. E addirittura di lavorare a una nuova «strategia della tensione». Niente filtro nei commenti, che toccano le solite vette di violenza, ma non sono per forza attribuibili a lettori a 5 Stelle. Scrive Dario Lumiella: «Peccato che al posto dei caramba (che poveri, non centrano) non abbia sparato a uno di quei bastardi del Pdl-Pdmenoelle». Un altro: «Ci vorranno le bombe e le forche per smuovere questi politici, altro che due colpi di pistola». E ancora: «Il tempismo di questo “attentato” è troppo comodo per non giustificare i peggiori sospetti. Cui prodest?».”

Letta taglierà l’Imu sulla prima casa. Piano di riforme e meno austerity. L’articolo a firma di Enrico Marro e Alessandro Trocino:

“C’è bisogno, dirà Letta, di rasserenare gli animi, abbassare la tensione, riscoprire le ragioni nobili di una politica al «servizio» dei cittadini e con una forte «attenzione alla realtà». «Ognuno è chiamato a fare il proprio dovere», ammonirà. Il premier chiederà a tutte le forze politiche, anche quelle che non gli daranno la fiducia, di impegnarsi lealmente per riformare le regole del gioco, cioè l’impianto istituzionale e la legge elettorale. Il governo si proporrà come motore di questo processo, ma chiederà la piena collaborazione del Parlamento, chiamato a fare la sua parte con una «Convenzione costituente», dove Letta auspica si possano realizzare maggioranze anche più ampie, coinvolgendo quindi la Lega e il Movimento 5 Stelle. Ci vuole, dirà, «coraggio e un po’ d’incoscienza», come quella dimostrata dalla sua squadra. In questa cornice verranno collocati i capitoli del discorso. Un discorso iper europeista, fondato su un fortissimo richiamo al valore dell’Europa unita, per contrastare ogni tentativo di chi vorrebbe contrapporre gli interessi e i destini dell’Italia a quelli della Ue. Essi, secondo Letta, sono invece indissolubilmente legati. E dunque non c’è prospettiva di crescita del nostro Paese senza la crescita di tutta l’Europa. Ma ciò richiede anche un cambiamento delle politiche economiche seguite finora, troppo improntate all’austerity, e il coraggio di arrivare all’«unione politica». Letta spera su questo di fare fronte comune innanzitutto con la Francia di Hollande. Di incoraggiamento anche le parole di Barack Obama che auspica «la crescita da entrambe le parti dell’Atlantico». Parole che hanno emozionato il premier: «I complimenti di Obama, quasi non ci credo!».”

La legge della Juve. L’articolo de La Stampa a firma di Marco Ansaldo:

“Le statistiche sono indicative: senza spremersi al massimo i bianconeri hanno avuto il 61 per cento di possesso palla, hanno giocato 213 palloni in più, hanno tirato (anche male) 12 volte contro 3, hanno esercitato la supremazia territoriale per 12’ mentre i granata non sono arrivati a 4’. Lo squilibrio si comprenderebbe se il Toro fosse una macchina da calcio degli Anni Sessanta, tutti indietro a difendere come mastini e contropiede. Ma con Ventura non è così: questa squadra dà il meglio se alza il livello, se ci rimane sotto si mette nei guai. Basso ritmo, molto attendismo, rare azioni corali, troppi errori nel disimpegno sul terreno scivoloso, il contributo fiacco di Cerci, un po’ perché tirava il fiato, un po’ perchè lo cercavano poco. Nelle occasioni (solo 2 per tempo) in cui l’ex viola si è messo in movimento la difesa della Juve ha avuto uno sbandamento anche pericoloso come nell’azione più contestata del match: si era sullo 0-0 e sul cross di Cerci, sfuggito a Chiellini, Jonathas non riusciva a deviare in porta, strattonato da Bonucci. Un rigore netto se non fosse che l’attaccante granata sembra in fuorigioco nel momento in cui parte il passaggio. Niente paura, tanto Bergonzi e i suoi assistenti non avevano visto niente, completando una direzione insufficiente: per arrivare all’ammonizione di Lichtsteiner e di Meggiorini si è aspettato mezz’ora quando sarebbero bastati cinque minuti.”