Terremoto Emilia, sfollati non pagano: corrente staccata

di redazione Blitz
Pubblicato il 27 Gennaio 2016 - 09:59 OLTRE 6 MESI FA

SAN FELICE SUL PANARO (Modena) – Terremoto in Emilia Romagna, sono passati ormai quasi quattro anni: era il maggio del 2012 quando il sisma sconvolse oltre 50 Comuni della regione . Ma nel gennaio del 2016 per molti sfollati la situazione non è migliorata, come racconta Claudio Del Frate sul Corriere della Sera. sono 31 le famiglie che vivono tutt’ora nei Map, i Moduli abitati provvisori che provvisori non sono. Immigrati, disoccupati, pensionati con assegni ai minimi. Molti di loro non solo vivono in queste casupole, ma non hanno nemmeno la corrente elettrica, o ce l’hanno razionata: in questo moduli abitativi, infatti, la corrente serve per fare qualunque cosa, così gli abitanti hanno accumulato debiti per migliaia di euro e si sono ritrovati con la corrente razionata.  

Come la famiglia di Benjamin Owusu: 

“assieme ad altre 43, è tra gli ultimi derelitti del terremoto del 2012 in Emilia: non solo vivono ancora in una delle casupole provvisorie ma poiché hanno accumulato un debito di migliaia di euro ciascuna con l’Enel si sono viste «razionare» la corrente elettrica; così, se accendi il televisore non funziona il riscaldamento; se azioni la lavatrice saltano tutte le luci. Per avere un’idea: “L’altra notte la temperatura qua fuori era di 2 gradi, in casa ne avevamo quattro. E in casa c’eravamo io, mia moglie e i miei quattro bambini” dice Ahmed Kaouhal, professione meccanico, un altro degli abitanti di questo nucleo mostrando due bollettini, uno da 4.900 euro e l’altro da 2.400.

A San Felice sul Panaro, uno dei paesi che più duramente ha pagato la «spallata» del sisma e dove ancora 500 famiglie non sono rientrate nelle loro case, il «popolo dei Map» (Moduli abitati provvisori) è composto da 31 famiglie. Nell’intera area terremotata sono in tutto 230: immigrati, disoccupati, anziani con la pensione al minimo: sono tutti coloro che nella pur miracolosa rinascita emiliana dopo il disastro sono rimasti indietro. La maggior parte di questi nuclei (180 per la precisione) sono in una situazione di morosità. Chi supera i 3.000 euro di debito, dopo ripetuti avvisi si è visto ridurre la potenza dell’energia da 6 a 1 kilowatt all’ora; trappola in cui sono cadute al momento 44 famiglie; e nei prefabbricati dove tutto (anche il riscaldamento e i fornelli) dipende dall’erogazione dell’Enel è stato il disastro. «Ci dobbiamo lavare con l’acqua fredda e mangiamo una sola volta al giorno altrimenti anche la bolletta del gas diventa troppo cara» dice Benjamin, disoccupato da quando le scosse hanno distrutto l’azienda in cui lavorava. «E dormo col cappotto che ho addosso» aggiunge attraversando la desolata area dei Map di San Felice”.

Come si sia arrivati a questa situazione, con le bollette da migliaia di euro difficili da pagare, è una vicenda che, purtroppo, non è accaduta solo in Emilia, anche se qui è avvenuta in forma più rilevante:

“Ma come è possibile che si sia creata una situazione di morosità così pesante e diffusa? «Le bollette per mesi non sono arrivate – racconta Paolino Parenti, uno dei pochissimi italiani rimasto nei Map – poi tutto d’un colpo ci hanno recapitato avvisi per migliaia di euro: cifre impossibili da pagare, per noi e per case in cui tutto dipende dall’energia elettrica. Io faccio a meno di forno e lavatrice, mi sono attrezzato con un mini fornellino per il cibo. Eppure ho 2.900 euro di arretrato. Che non ho mai pagato».

A difendere Enel c’è il sindaco di San Felice sul Panaro, Alberto Silvestri, primo cittadino dal 2009, che si è quindi vissuto in prima persona tutta l’esperienza del sisma e la ripartenza, o ripartenza mancata.

«Chi dimostrerà la buona volontà di onorare il debito non avrà alcun problema – assicura il sindaco – e l’amministrazione è pronta a venire incontro a ogni forma di disagio sociale. Però capisco anche le ragioni di Enel, che ha degli obblighi di legge e non può non riscuotere le bollette. Ricordo solo che chi vive ancora nei Map lo ha fatto per una sua scelta, così come è stata una scelta quella di non pagare fin da subito: noi avevamo proposto soluzioni alternative. E oggi, l’amministrazione pubblica ha un dovere di equità verso tutti. Anche verso chi, a costo di sacrifici, ha sempre saldato il dovuto».