Tifone Haiyan e Filippine, pensioni, scontro Berlusconi-Alfano: prime pagine e rassegna stampa

di Redazione Blitz
Pubblicato il 11 Novembre 2013 - 08:11 OLTRE 6 MESI FA

Il Corriere della Sera: “E’ una catastrofe, 10mila morti”. Un’inattesa distanza. Editoriale di Angelo Panebianco:

“Il 25 novembre Vladimir Putin verrà a Roma, in Vaticano, per incontrare il Papa. Sarà un incontro diverso, presumibilmente, da quelli che il presidente russo ha avuto con i due Papi precedenti, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Al di là degli altri significati che la visita potrà assumere, soprattutto per i futuri rapporti fra Cattolicesimo e Cristianesimo ortodosso, sarà anche l’incontro fra due uomini che, l’estate scorsa, si sono scoperti alleati contro gli Stati Uniti (e contro la Francia) nella vicenda siriana. Mentre l’ondeggiante Obama sfogliava la margherita per decidere se intervenire militarmente o no al fine di punire il siriano Assad per l’uso delle armi chimiche, Putin e Francesco agivano in piena sintonia per bloccare l’intervento americano. Il Papa spinse la polemica fino al punto di ipotizzare che la guerra civile in Siria fosse alimentata ad arte da coloro che guadagnavano vendendo armi. E intendeva soprattutto l’Occidente, assetato di profitti.
C’è urgenza in Europa di riflettere su cosa significhi, per l’Europa stessa, oltre che per l’Occidente nel suo insieme, un Papa che viene da un mondo molto diverso dal nostro. Un Papa che unisce, rispetto all’Europa, in modo paradossale, diversità culturale e una grande capacità di suscitare attenzione, attrazione e anche entusiasmi.
Il rapporto fra il Papa e il suo gregge, e il suo tentativo di riformare in profondità la Chiesa di Roma, riguardano il mondo cattolico e, da parte di chi non appartiene a quel mondo, possono solo essere osservati con rispetto. Ma il rapporto del Pontefice con l’Europa riguarda tutti gli europei. Così come li riguardano i mutamenti geopolitici in atto, di cui un aspetto, e forse fra i più importanti, è proprio l’ascesa di Bergoglio al soglio pontificio”.

Pensioni agganciate ai prezzi, sì di Letta. Articolo di Lorenzo Salvia:

“Nonostante la platea popolare, le telecamere sono quelle di Domenica In , il messaggio è forse un po’ criptico. Ma quella che arriva dal presidente del consiglio Enrico Letta è di fatto la benedizione all’intesa fra Pd e Pdl sulle pensioni, e cioè al ritorno dell’indicizzazione al 100%, vale a dire l’adeguamento totale al costo della vita, per gli assegni fino a 3 mila euro lordi al mese. Lasciando il blocco degli aumenti automatici solo per le pensioni che superano quella soglia.
Il disegno di legge di Stabilità, approvato dal consiglio dei ministri a metà ottobre ed ora all’esame del Senato, va già in questa direzione. Ma per il momento è più timido. Reintroduce sì l’indicizzazione, cancellata con il decreto salva Italia per tutte le pensioni al di sopra dei 1.500 euro lordi al mese. Ma solo per gradi: la rivalutazione sarebbe del 100% fino a 1.500 euro, del 90% fino a 2 mila, del 75% fino a 2.500 e del 50% fino a 3 mila. Per poi azzerarsi una volta superata la fatidica soglia. L’intesa Pd Pdl, a questo punto con l’ok di Letta, prevede la rivalutazione completa per tutti gli assegni al di sotto dei 3 mila euro. Il punto, come sempre, è dove trovare le risorse. Ed è qui che la questione si complica. Il Pd propone di togliere qualcosa ai pensionati più ricchi, abbassando l’asticella già fissata per il nuovo contributo di solidarietà, la tassa aggiuntiva che torna con una nuova veste giuridica dopo la bocciatura da parte della Corte costituzionale. Scatterebbe non più sopra 150 mila euro, come nel testo uscito da Palazzo Chigi, ma sopra 90 mila”.

Con il delfino è rottura La tentazione del Cavaliere di andare all’opposizione. Scrive Lorenzo Fuccaro:

“Sulle prime non voleva affatto replicare alle affermazioni di Angelino Alfano. Ma alla fine ha ceduto alle insistenze di Denis Verdini e Raffaele Fitto, che gli hanno messo sotto gli occhi un passaggio dell’intervista fatta dal vicepremier a «SkyTg24», nel quale sosteneva che Silvio Berlusconi «avrebbe potuto fare campagna elettorale ma non guidare il governo». Tutt’al più, faceva notare Alfano, «speriamo possa essere al prossimo giro il nostro candidato». Parole che hanno scosso il Cavaliere perché vi ha visto confermato il sospetto che da tempo lo assilla e cioè che, nonostante le professioni di lealtà nei suoi confronti, Angelino e gli altri ministri sono parte di un piano che vuole estrometterlo dalla vita politica. «Come si fa a dire che potrei candidarmi soltanto al prossimo giro?», è la domanda che si è posto e ha girato agli interlocutori, i quali hanno così avuto buon gioco a suggerirgli di non lasciare passare questa «provocazione», questa assoluta mancanza di rispetto verso una personalità politica alla quale devono tutto”.

L’accusa di Prodi: fallito il mio progetto di Pd. Scrive Francesco Alberti:

” Non c’è nemmeno bisogno che l’ultimo spenga la luce. Ora che la porta si è chiusa, anzi, che Romano Prodi l’ha chiusa, si può discettare all’infinito di quando, in quale esatto momento storico, ha cominciato a logorarsi e poi a sfilacciarsi per poi infine rompersi quel filo che dal 1995 a qualche mese fa — attraverso due Ulivi, due governi, due tradimenti fratricidi, mille battaglie contro Berlusconi, un’imboscata quirinalizia e agguati di ogni tipo — ha fatto del Professore il simbolo di un centrosinistra che aspirava (obiettivo fallito) ad avere il suo centro gravitazionale lontano dalle oligarchie romane. Considerato lo spessore e le mille peripezie che hanno segnato la convivenza tra il due volte ex premier e la galassia dei post dc e post pci, c’è solo l’imbarazzo della scelta.
Il punto, piuttosto, è un altro: è giusto, come in automatico molti tendono ora a fare, interpretare la decisione prodiana di prendere definitivamente le distanze dalla sua creatura, prima rifiutandosi di ritirare la tessera pd e poi annunciando di voler disertare i gazebo delle primarie, solo e unicamente come una vendetta? Qualcosa, cioè, di pianificato a tavolino, consumato a freddo e destinato a fare rumore (oltre che male alla gracile costituzione del Pd), ma pur sempre una vendetta: certo legittima da parte di chi ritiene di aver subito un torto, ma comunque nata e maturata in un ambito emozionale, istintivo, impolitico e quindi per certi versi di corto respiro? Chi lo conosce esclude una lettura del genere: «No, è tutto molto più complesso, un lungo percorso segnato da una linea di coerenza…».  Tutto molto più prodiano”.

La prima pagina de La Repubblica: “Filippine: è una catastofre”.

La Stampa: “Devastate le Filippine”. Come zombie in cerca di cibo a Tacloban. Scrive Alessandro Ursic:

“Come uno tsunami non ci sono più solo i danni, ma anche il bilancio di morte. Le onde portate dal tifone Haiyan si sono portate via città e villaggi nel centro delle Filippine, causando una catastrofe che col passare delle ore assume le dimensioni di un’ecatombe: migliaia di morti, anche diecimila stima il capo della polizia, nelle isole di Leyte, Samar e Ormoc. Una fascia di litorale profonda un chilometro è stata cancellata. Senza cibo, acqua ed elettricità da tre giorni, per moltissimi senza una casa dove tornare, superstiti che hanno perso tutto vagano ora tra le macerie di città sempre più in preda all’anarchia.

Tacloban, la capitale di Leyte spazzata da venti fino a 313 km/h, è finora il ground zero del disastro. Ma anche perché, con le difficoltà enormi che incontrano i soccorritori nello spostarsi, molte zone sono ancora isolate. Difficile la conta dei danni e le vittime, tanto che l’Unità di crisi della Farnesina sottolinea che «allo stato attuale» non ci sono italiani coinvolti. Ieri pomeriggio le tv filippine hanno fatto vedere le prime immagini di Guiuan, 40mila abitanti a Samar di cui non si avevano notizie da venerdì: un altro panorama da apocalisse, con chissà quanti morti sotto quelle case rase al suolo, diverse navi arenate sul fango che ricopre la terraferma, una marea di alberi e pali della luce divelti, automobili rovesciate, tetti di case ammucchiati.
A Tacloban, i sopravvissuti sembrano non capacitarsi della catastrofe. Al contrario di uno tsunami, tutti sapevano che «Yolanda» (come nelle Filippine hanno chiamato questo tifone) stava per arrivare. Ma intorno non ci sono colline dove rifugiarsi. C’è chi ha cercato riparo nelle scuole o nelle chiese, ma sono state travolte pure quelle. Marvin e Loreta Isalan, quattro figli piccoli, hanno pensato di metterli al sicuro nell’aeroporto dove lavorava lui: ne hanno persi tre. Ora non smettono di piangere, come fanno altri sopravvissuti che raccontano la loro storia alle tv filippine, con gli occhi nel vuoto di quello che è rimasto”.

Berlusconi-Alfano, ormai è guerra. Scrive Ugo Magri:

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“La scissione Pdl è ormai conclamata. Il solco tra i due protagonisti, Berlusconi e Alfano, non appare colmabile. Il vice-premier sostiene in tivù, ospite di Maria Latella, che è indispensabile per l’Italia mandare avanti Letta, e dentro le larghe intese la funzione del centrodestra risulta essenziale. Dunque, a provocare la crisi lui non ci pensa nemmeno. Il Cavaliere, dal canto suo, non rinuncia al proposito di lasciare la maggioranza. Si è convinto che lanciarsi all’attacco del governo gli conviene comunque, lo «status» di leader dell’opposizione sarebbe in fondo più decoroso che sostenere Letta senza voce in capitolo. Tra l’altro i suoi avvocati gli fanno credere che, nella veste di oppositore, i giudici ci andranno più cauti, altrimenti a suo sostegno interverrebbero le organizzazioni umanitarie mondiali…

Insomma, le strade si separano. L’«Huffington Post» ha pubblicato a sera un’intervista del Cavaliere che non cita Alfano con nome e cognome, però gli lancia uno sprezzante ultimatum: torna subito indietro o seguirai la sorte di Fini”.

Le pensioni d’oro costano 45 miliardi. Articolo di Antonio Pitoni:

“Come dice il premier Enrico Letta, sulle pensioni il tema resta quello dell’indicizzazione. «Che va portata avanti fino al suo completamento», spiegava ieri il presidente del Consiglio, ospite di «Domenica In» su Raiuno. Proprio nel giorno in cui tornava a montare la polemica sulle pensioni d’oro con la pubblicazione degli ultimi dati dell’Istat. Nel 2011, il 5,2% dei pensionati (861mila persone in tutto), che percepisce un assegno mensile superiore ai tremila euro, ha assorbito in tutto 45 miliardi, vale a dire il 17% della spesa previdenziale. Poco meno di quanto sborsato per i 7,3 milioni di italiani, il 44% del totale, il cui reddito non supera i mille euro al mese. In cifre 51 miliardi in tutto, pari al 19,2% della spesa complessiva.

Questione, quella delle pensioni d’oro, tornata d’attualità con le considerazioni, tutt’altro che confortanti, contenute nella relazione illustrativa che ha accompagnato la Legge di stabilità all’esame del Parlamento. Nella quale si sottolinea come la restituzione ai super pensionati di quanto avevano perso con lo stop alla rivalutazione dei trattamenti pensionistici superiori a cinque volte il minimo per gli anni 2012-2013, pesi sulle casse dello Stato per 80 milioni di euro. Lo stop alle indicizzazioni era stato deciso nel luglio 2011 dal governo Berlusconi, ma era stato successivamente dichiarato incostituzionale dalla Consulta. Decisione per effetto della quale, al fine di rimborsare le somme versate all’entrata del bilancio dello Stato, si legge nella relazione, è stato istituito «un apposito fondo nello stato di previsione del ministero dell’Economia e delle finanze, con una dotazione di 40 milioni di euro per ciascuno degli anni 2014 e 2015». Cifre mica da ridere, se lette in parallelo con l’ultima fotografia scattata dall’Istat”.

La prima pagina del Giornale: “Berlusconi venduto al Pd”.

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