Trattativa Stato-mafia, Napolitano teste: “Sa di rivalsa se non di vendetta”

Pubblicato il 21 Maggio 2013 - 06:47 OLTRE 6 MESI FA
giorgio napolitano

Giorgio Napolitano: contro di lui vendetta dei pm di Palermo?

La decisione dei pm di Palermo che indagano sulla trattativa Stato Mafia di chiedere di sentire, con altri 175 testimoni, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano sa

“di rivalsa se non proprio di vendetta”

dopo che la Corte Costituzionale ha dato ragione al Presidente della Repubblica e torto alla Procura di Palermo sulle intercettazioni del Presidente da distruggere. Secondo il costituzionalista Michele Ainis

“Napolitano non è stato testimone oculare di omicidi, non ha visto in faccia un assassino con il pugnale insanguinato, insomma non è affatto un testimone imprescindibile di fatti imprescindibili”.

“In Italia non era mai successo che un presidente della Repubblica fosse convocato da una Procura giudiziaria, e specialmente adesso abbiamo bisogno di regole, non di eccezioni”.

Prima di arrivare a questa conclusione, in un articolo pubblicato dal Corriere della Sera. Michele Ainis ha scritto che

“a Palermo si celebra il trionfo del principio d’eguaglianza”

ma anche

“la mortificazione del principio di ragionevolezza”.

Le cronache politiche americane, ricorda Michele Ainis, hanno invaso il mondo, nel 1999 con le

“vicissitudini di Clinton, che scansò l’impeachment, l’interdizione dalla carica  per un pelo”

dopo essere stato letteralmente grigliato da un procuratore speciale, partito dall’accusa  d’aver mentito sotto giuramento in un processo per una storia di donne e sbucato nella grande cloaca dello scandalo di Monica Lewinsky.

Ma qui siamo in Italia e Michele Ainis si chiede:

“È possibile chiamare a deporre il capo dello Stato? In astratto sì, dato che il primo cittadino è innanzitutto un cittadino”.

Lo conferma indirettamente l’articolo 205 del codice di procedura penale,

“dove c’è scritto che «la testimonianza del presidente della Repubblica è assunta nella sede in cui egli esercita la funzione di capo dello Stato». Dunque pure l’ordinamento giuridico italiano contempla espressamente quest’eventualità, limitandosi a disporre — per una forma di riguardo istituzionale — che il presidente venga ascoltato nel suo ufficio”.

Anche in base a questo, però, il Presidente della Repubblica è un’altra cosa e infatti, se qualcuno ai vertici dello Stato (presidenti delle Camere, del Consiglio, della Corte costituzionale) rifiuta di testimoniare

“subisce l’accompagnamento coatto, cui Napolitano invece non può mai soggiacere (articolo 205, comma 3)”.

“Ogni deposizione del capo dello Stato in tribunale ha natura sostanzialmente volontaria, non obbligatoria. Ed è assai dubbio che lui possa rispondere della non risposta, che insomma nei suoi confronti il rifiuto di testimoniare si traduca in un reato”.

“In quest’ultima vicenda non viene in gioco il diritto, bensì la politica del diritto. Non entra in scena l’eguaglianza, quanto piuttosto la ragionevolezza, che ne costituisce pur sempre la madrina.

“Diciamolo: questa chiamata a testimone, i pm avrebbero potuto risparmiarsela. E se la Corte d’assise di Palermo accenderà il rosso del semaforo, non farà che agevolare il traffico, evitando l’ennesimo tamponamento fra politica e giustizia”.