Ultras Feyenoord, il tifoso della Lazio ricorda le botte e la galera in Polonia

di Redazione Blitz
Pubblicato il 21 Febbraio 2015 - 06:17 OLTRE 6 MESI FA
Ultras Feyenoord, il tifoso della Lazio ricorda le botte e la galera in Polonia

Ultras Feyenoord, il tifoso della Lazio ricorda le botte e la galera in Polonia

ROMA – Una lettera che inizia e finisce con la stessa parola: rabbia. E’ il sentimento che prova Alessandro Vinci, 22 anni, tifoso della Lazio. Uno dei tanti tifosi della Lazio che furono arrestati a Varsavia prima di una partita di Europa League tra il Legia e la Lazio.

La storia di quei tifosi, alcuni rimasti in cella per settimane, non è mai stata chiarita del tutto. Alcuni di loro erano probabilmente coinvolti in scontri e danneggiamenti. Altri del tutto estranei. La polizia polacca non ci andò tanto per il sottile: presero tutti, e tutti trattarono da delinquenti.

Il giorno dopo la devastazione di Roma da parte dei tifosi del Feyenoord Vinci ricorda quei giorni e scrive una lettera al quotidiano “Il Tempo”. Blitz Quotidiano ve la ripropone integralmente:

Rabbia, dolore, senso d’ingiustizia. Sono questi i sentimenti che provo mentre leggo i quotidiani e guardo in televisione le immagini di Roma messa a ferro e fuoco da un’orda di delinquenti. Ubriachi di alcool e di violenza. Senza morale, senza coscienza. E il cuore inizia a pulsare più forte, con la mente che ritrova e riapre alcuni cassetti della memoria che speravo sepolti sotto la polvere del tempo.

Quelli con i quali, comincio ad esserne certo, dovrò convivere per la vita. Così, mentre scorrono sullo schermo come un film le barbarie che gli hooligans olandesi stanno mettendo in atto nella nostra città, la mia testa torna istintivamente, direttamente, dolorosamente, a Varsavia. Eccoci in strada, con sciarpe e bandiere, felici di seguire ancora per il mondo la nostra squadra del cuore. Siamo tanti davanti all’Hard Rock Café.

Partiamo tranquillamente in direzione dello stadio, inconsapevoli di ciò che sta per accaderci. Dell’inferno che ci hanno riservato in Polonia. All’improvviso ci circondano, ci buttano in terra, non si capisce più niente. Non sono i tifosi del Legia, ma gli agenti della polizia locale in tenuta anti-sommossa.
Perdo l’orientamento, cosa sta accadendo? Vedo manganelli ovunque, scudi e lacrimogeni. Chi ce la fa scappa, tutti corrono cercando di eludere i blocchi delle forze dell’ordine. Io e tanti altri veniamo rastrellati in strada e caricati a forza su delle camionette precedentemente posizionate in una stradina laterale.

A questo punto, mentre tutto è confuso, una cosa è invece chiarissima. Siamo vittime di un agguato preparato nei minimi dettagli. È l’inizio dell’incubo. Dei processi sommari ed in una lingua a noi incomprensibile, delle ammissioni di colpa estorte con l’inganno, del cibo razionato e dell’acqua quasi assente. Molti di noi, nonostante le famiglie siano disponibili a versare la cauzione, restano dietro le sbarre del carcere di Bialoleka per settimane. Umiliati, derisi, chiamati mafiosi dalle guardie. Per tutti arriva anche il Daspo di due anni per le manifestazioni sportive in Polonia. Ultimo souvenir da mettere nella valigia di una trasferta inimmaginabile. Ora basta.

Mi scuoto, ripongo negli angoli più remoti della psiche il passato. E la realtà mi travolge. Penso alla mia città, parte di un’Europa unita solo nelle stanze di Bruxelles, con leggi e relative applicazioni diverse ed inique, costretta a subire l’ennesima violenza. Vorrei chiudere gli occhi ma non posso. E la rabbia sale.