“Un suicidio firmato da Tsipras”: la verità sul bluf di un demagogo spregiudicato: “un disastro per i greci” (Stefano Lepri, La Stampa)

di Redazione Blitz
Pubblicato il 29 Giugno 2015 - 09:48 OLTRE 6 MESI FA
"Un suicidio firmato da Tsipras", Stefano Lepri sulla Stampa

Tsipras (ansa)

ROMA – “Un suicidio firmato da Tsipras” è il titolo dell’editoriale a firma di Stefano Lepri sulle pagine de La Stampa riguardo la situazione in Grecia.

È una analisi senza retorica, fuori dal coro dei piagnistei filo greci che ignorano la storia e la saggezza degli antichi (“Timeo danaos et dona ferentes”, dicevano i romani antichi: non mi fido dei greci nemmeno quando mi fanno un regalo). Il gioco della Grecia è tutto politico, sul filo di una demagogia spietata e senza ritegno. Quando  Alexis Tsipras parla di “insulto” e di “tentativo fermare democrazia” e dice:

 “Le recenti decisioni di Bce ed Eurogruppo hanno un solo obiettivo: tentare di soffocare la volontà del popolo greco […ma] non ci riusciranno: accadrà l’esatto opposto. Il popolo greco resisterà con ancor piu’ caparbietà”

si capisce che non è in gioco il destino di un popolo affamato ma solo il futuro politico del partito del demagogo greco Alexis Tsipras.

Stefano Lepri sviluppa il suo ragionamento con chiarezza e ci guida nei retroscena della mano di poker più dura della storia:

La colpa (della crisi della Grecia) è del disperato gioco d’azzardo che Alexis Tsipras ha spinto troppo oltre.

Non ci si racconti che si tratta di difendere la dignità di un popolo contro creditori spietati. I documenti del negoziato, trapelati perlopiù per iniziativa dei greci stessi, lo smentiscono. Quale abisso c’è tra un aumento dell’Iva con gettito di 0,93 punti di prodotto lordo e un aumento dell’Iva per 1 punto di Pil? A questo, e a poco altro, si era ridotta la distanza tra le due parti.
Né si scorgono contrapposizioni che possano davvero catturare la simpatia delle sinistre di altri Paesi. In una fase precedente, quando il Fondo monetario internazionale si era stolidamente impuntato sulla deregolamentazione del mercato del lavoro, ce n’erano state.

Nell’ultima fase, anche su questo punto la distanza non era grande.

A una prima impressione, rivolgersi al popolo è parsa a molti una scelta giusta. Ma, guardando bene, la domanda che verrà posta è ingannevole. Tsipras ha deciso per il referendum quando ha constatato che il suo partito, Sýriza, si sarebbe spaccato nel voto sul presumibile accordo. Ha cercato di usare l’annuncio come arma per ulteriori concessioni, gli altri governi hanno risposto no.
Buona idea sarebbe stato indire un referendum ponendo la questione vera. Nel voto dello scorso gennaio i greci hanno dato la maggioranza relativa a un partito che in realtà non è d’accordo su dove andare: dentro l’euro, o fuori. Occorreva quindi tornare a rivolgersi ai cittadini riconoscendo la divisione interna a Sýriza.

Tsipras rimane popolare; lo sostiene ancora la speranza («i elpida», parola d’ordine della campagna elettorale) di un nuovo modo di governare, diverso dal clientelismo dei vecchi partiti. Ben poco tuttavia si è visto, specie di impegno a ricostruire uno Stato corrotto e inefficiente; mentre interessi di categoria, di aree elettorali, di lobby sindacali, restano le vere «linee rosse invalicabili» a Bruxelles.

Il guaio è che la condotta del governo di Atene è stata disastrosa innanzitutto per i greci stessi. Una scelta tra euro e dracma sarebbe stata meno pericolosa quattro mesi fa, prima che l’economia rientrasse in recessione, che il bilancio dello Stato tornasse in passivo anche al netto degli interessi sul debito, che le banche si svuotassero di denaro.

Gli altri diciotto Paesi hanno fatto bene ieri a mostrare fermezza. Nelle ore che restano fino alla dichiarazione di insolvenza di martedì, occorrerà però che l’Europa sappia parlare ai cittadini greci, e spiegare che nessuno vuole opprimerli. I sacrifici su cui verteva il negoziato – per rimettere in sesto il bilancio – sarebbero necessari anche in caso di una totale cancellazione del debito.

Se la tragedia dell’uscita greca non potrà essere evitata, sarà urgente fare chiarezza tra chi rimane. Troppi in Germania si augurano che punire un Paese serva a educarne altri. Invece, per reggere all’urto, per evitare che i mercati si rivolgano contro altri Paesi deboli, occorrono misure immediate che rinsaldino l’edificio dell’euro. Quelle previste dal «Rapporto dei 5 presidenti» sono il minimo necessario.