Veltroni, D’Alema, Bindi: le pagelle di Pansa ai sinistrati di Renzi

di Redazione Blitz
Pubblicato il 13 Ottobre 2014 - 08:58 OLTRE 6 MESI FA
Veltroni, D'Alema, Bindi: le pagelle di Pansa ai sinistrati di Renzi

Veltroni, D’Alema, Bindi: le pagelle di Pansa ai sinistrati di Renzi

ROMA – “La conferma del decesso della sinistra italiana – scrive Giampaolo Pansa di Libero – è lo stato odierno della nomenclatura del Partito democratico, dei suoi alleati e dei fiancheggiatori di rango. E adesso via con i nomi, un vip dopo l’altro, un elenco di signori e signore che oggi, nell’autunno del 2014, non contano più un tubo, o quasi”.

Max D’Alema ha deciso di fare il viticultore. Sta per lanciare sul mercato un vino che spera di vendere. Gli basterà il nuovo mestiere per soddisfare la voglia di restare sulla scena? Forse no. Baffino d’acciaio è roso dalla rabbia nel vedere al comando del Pd e dell’Italia un dilettante come Matteo Renzi. Leggo sui giornali che sta facendo cicì e ciciò con Raffaele Fitto, il ribelle di Forza Italia. Vorrebbe stringere con lui un Patto del Nazareno alternativo a quello fra il Cav e Renzi. Penso che farà un buco nell’acqua o, peggio, nel vino.

Walter Veltroni vive nell’angoscia di essere dimenticato dai media. E s’inventa espedienti per far ricordare che esiste. Si è persino ridotto alla funzione di celebrante del matrimonio di George Clooney con la bella avvocatessa. Poi, su invito del renziano Filippo Taddei, uno dei tirapiedi economici del premier, è andato a concionare all’università John Hopkins. Qui ha detto: «Potevo fare io quello che sta facendo Matteo. Ma non avevo la sua cattiveria. Comunque il premier lavora bene e va sostenuto».

Pier Luigi Bersani è ritornato in ottima forma e ha ripreso il comando di quella che lui chiama «La Ditta», il nocciolo duro del Pd. Purtroppo non ha trovato nessun nocciolo, ma soltanto rottami. I suoi elettori si domandano: «Dopo aver smacchiato il Giaguaro di Arcore, ossia il Berlusca, tenterà di smacchiare anche il Gattopardo di Firenze, quello che ha per motto: fingere di cambiare tutto, per non cambiare nulla?». Bersani mi è simpatico, l’incidente sanitario lo ha migliorato. Ma la politica ha in serbo per lui, e anche per noi, una notte buia e tempestosa.

Dario Franceschini, già successore di Veltroni come leader del Pd, fa il ministro dei Beni culturali, però conta quanto il due di picche. Da poco è sposo felice e forse sta scrivendo un nuovo romanzo. Ma su di lui pesa la sentenza emessa da Renzi quando il premier era ancora il capo della provincia di Firenze: «Se Veltroni è stato un disastro, adesso al suo posto hanno eletto il vicedisastro».

Rosy Bindi era la sceriffa del Pd. Adesso l’hanno confinata all’Antimafia. Presiede una commissione che Cosa Nostra e aggregati criminali considerano la Baggina dei politici trombati, un ospizio di lusso per vecchi. Nei talk show non la si vede quasi più. E questo è il segnale luttuoso di una decadenza senza rimedio.

Roberta Pinotti, classe 1961, s’illude di essere la nuova Bindi. Questa speranza le ha montato la testa. Per grazia ricevuta da Renzi, fa il ministro della Difesa. Capisce poco o niente di questioni militari. Se ne è resa conto anche lei e per questo si è data un nuovo traguardo: essere la prima donna che diventa presidente della Repubblica. Non ci resta che gridare: aiuto!

Susanna Camusso, leader della Cgil, è una signora di 59 anni che chiede al parrucchiere di farle una chioma da ventenne. Sta sempre in tivù, soprattutto quando urla dal palco di un corteo. Oggi si trova in una congiuntura orrenda e non sa che cosa fare davanti alle tante aziende che chiudono. Ha deciso uno sciopero generale, pur sapendo che non servirà a nulla.

Maurizio Landini, segretario dei metalmeccanici della Cgil, è andato fuori di testa. Minaccia di occupare le fabbriche se Renzi oserà toccare l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori. È una follia, ma lui si è gasato pensando a una mezza rivoluzione. Il suo ufficio studi dovrebbe rammentargli i guai terribili che accaddero dopo l’occupazione della Fiat nel 1920. E spiegargli che oggi la Feroce e tante altre fabbriche se ne sono andate.

Nichi Vendola, ancora segretario di Sel, è in pieno disarmo. Il suo partitino si sgretola e non pochi parlamentari, ritenuti da lui superfedeli, lo stanno lasciando. Dicono che fare politica non gli piaccia più. E pare sia deciso a sposare il ragazzo canadese che lo ama da tanti anni. L’incognita è se troverà qualche sindaco disposto a registrare la loro unione.

Antonio Di Pietro è scomparso. Sarà tornato a fare l’agricoltore al paese natio, Montenero di Bisaccia, in provincia di Campobasso. Sino a qualche giorno fa, poteva vantarsi di avere ancora un sindaco messo in sella dall’Italia dei valori: Luigi De Magistris. Ma adesso Giggino ’o Trombone ha perso la poltrona di Napoli. E ha lasciato solo Tonino.

Carlo De Benedetti veniva considerato la tessera numero 1 del Pd. E pur non essendo un politico professionale era un pilastro della sinistra italica. Grazie ai media che possiede, a cominciare dalla corazzata di Repubblica, contava almeno come tre ministri. Ma oggi anche lui sta in brutte acque. Aspetta con angoscia le conclusioni dell’indagine giudiziaria sull’amianto all’Olivetti di Ivrea. Rammenta gli anni di galera inflitti a Torino ai padroni dell’Eternit. E trema.

Fabio Fazio è il primo dei fiancheggiatori televisivi della sinistra. Specialista in interviste di velluto ai big odierni, a cominciare dal satanasso Renzi. Ma anche il dittatore di Che tempo che fa ha di fronte previsioni meteo raggelanti. La crisi dei talk show televisivi non lo risparmia. E la signora Litizzetto, la pin up del programma, ormai è una vecchietta con le tette secche. Che per di più è reduce da uno sguaiato Festival di Sanremo.

Massimo Giannini, il nuovo leader di Ballarò, quando scriveva per Repubblica era un giudice spietato della politica nazionale. Ha voluto traslocare nell’unico media che conti, la televisione, ma si è ridotto a un dilettante che balbetta. Gli ascolti sono raso terra. All’incirca quelli di Giovanni Floris su La7. Stare a sinistra porta male.

Lo conferma anche il tonfo di Michele Santoro e del suo tetro Servizio pubblico. Un tempo veniva considerato il leader nascosto del progressismo italico. Aveva più seguaci dei politici rossi. Oggi don Mike ha 63 anni. Il suo socio, Marco Travaglio, ne ha tredici meno di lui. E prima o poi gli farà le scarpe.

Per farla corta, siamo di fronte a una distesa di rovine assai più ampia di quella descritta qui. Che cosa resta alla sinistra italiana? Un doppio leader, del partito e del governo: Matteo Renzi, alieno multiforme difficile da definire. Due vice segretari del partito, dei quali uno solo rimane nella memoria del Bestiario: la Debora Serracchiani, una Petronilla con il mattarello. E infine Sabina Guzzanti, una signorina che ha fatto la gaffe della sua giovane vita: la cartolina di solidarietà a due capi di Cosa nostra, Totò Riina e Leoluca Bagarella.

Fuorisacco rimane soltanto Romano Prodi. Di lui mi fido. Lo stimo e mi è sempre piaciuto. Lui sarebbe l’uomo giusto per entrare al Quirinale quando Giorgio Napolitano, un altro galantuomo, deciderà di andarsene a casa. Ma scommetto che la sinistra, morto che cammina, ci manderà una mezza tacca.