Vittorio Feltri sul Giornale: Pranzo in treno, derby al ribasso pubblico-privato

di Redazione Blitz
Pubblicato il 6 Dicembre 2013 - 11:52 OLTRE 6 MESI FA

feltriROMA – “Pranzo in treno: derby al ribasso pubblico-privato”, questo è il titolo dell’articolo a firma di Vittorio Feltri sulle pagine del Giornale:

Oltre a fermare il declino, qui bisogna fermare il de­grado e la sciatteria che minacciano di renderci la vita an­cora più grama. Se c’era una cosa in Italia confortante, una specie di miracolo di efficienza, questa era il cosiddetto Frecciarossa, cioè l’al­ta velocità da Torino a Napoli, che non solo aveva accorciato le di­stanze fra Nord e Sud, ma consen­tiva ai passeggeri di usufruire di un buon livello di comfort duran­te il viaggio: poltrone comode, di­stribuzione gratuita di giornali, caffè decente, varie bibite e perfi­no ottimi aperitivi. Tutto ciò aiuta­va chi affrontasse lunghe trasferte a non soffrire troppo di noia nell’at­tesa di giungere a destinazione. Personalmente ero tanto ammi­rato da Trenitalia da esserne di­ventato in breve tempo un tifoso. Apprezzavo talmente le piacevo­lezze garantite dalle nostre ferro­vie da aver rinunciato per sempre all’aereo. Ogni volta che si tratta­va di andare da Milano a Roma e vi­ceversa, mai avuto un dubbio: un bel posto in prima classe nella carrozza numero 3 o 4, fila D, cioè una poltro­na isolata che mi evitasse il fastidio di avere un dirimpettaio ciarliero e deci­so a conversare con me, distogliendo­mi dalle mie consuete occupazioni, quali la lettura di quotidiani, telefo­nate, pisolini.

Dimenticavo un altro vantaggio: partire dalla Centrale e arrivare sen­za soste a stazione Termini ovvero dal cuore di Milano al cuore di Roma: niente autobus, niente taxi. Che me­raviglia. La mia strategia era perfetta anche per altro motivo. Udite. Salivo sul treno alle ore 12 (a Milano o a Ro­ma, indifferentemente), mi accomo­davo, sistemavo il tavolino e mi dedi­cavo agli affari miei. Intanto il convo­glio cominciava la sua corsa. Trascor­sa una mezz’ora, si appalesavano due gentili signore che spingevano il carrello-bar: «Prego, cosa desidera, un Berlucchi fresco, un salatino o un dolcetto?». Perfetto. Sceglievo e sor­seggiavo soddisfatto in beata solitu­dine. Poco dopo, un’altra ragazza cortese domandava: «Prenotazione al ristorante?».

Non rifiutavo di certo. E alle 13.15 mi recavo nell’apposito vagone e mi sedevo alla tavola apparecchiata; consultavo il menu e sceglievo piatti e bevande. Consumavo con calma ­prezzi modici – e tornavo verso le 14 nel mio «loculo». Tempo 50 minuti circa, eccomi alla meta. Che vuoi di più dalla vita? Frecciarossa aveva ri­solto tutti i miei problemi. Nel giro di 24 ore, risparmiando fatica e sballot­tamenti fastidiosi che comporta il vo­lo, riuscivo a spostarmi dalla mia cit­tà alla capitale e a sbrigare le mie fac­cende in tutto relax.

Una volta mi capitò un imprevisto. Il treno veloce preferito era tutto esaurito e ripiegai su Italo, il suo ag­guerrito concorrente privato, quello di Luca Cordero di Montezemolo, per intenderci. Esperienza scorag­giante. Dell’aperitivo non se ne parlò neanche, dei giornali neppure. Quan­to al vagone ristorante, scordarselo: non c’era e non c’è. Dovetti afferrare una hostess per la giacchetta mentre correva in corridoio incurante dei miei gesti finalizzati ad attirare la sua attenzione.

Infastidita, ella mi guardò allarma­ta e stizzita: «Cosa vuole?». Risposi: «Pranzare, perdio!». Mi porse un me­nu; indicai alcuni cibi e lei mi portò un quarto d’ora più tardi un cestino simile a quello che davano- negli an­ni Cinquanta- ai bimbi diretti in colo­nia per le vacanze estive. Lo aprii e vi scoprii alimenti freddi e diversi da quelli ordinati. Chiesi spiegazioni. «Questo è quanto ci è rimasto», preci­sò la gentildonna.

Scocciato, telefonai a Luca – il pa­drone di Italo – e gli raccontai l’acca­duto. Sorpreso, ma cortese, Monteze­molo disse: «Adesso sono fuori sede, ma quando rientro ti chiamo e ci ve­diamo per parlare di treni e non so­lo ». Sto ancora aspettando. Riflessio­ne. L’impresa privata che desidera fa­re concorrenza a quella pubblica, stando alle regole, non dovrebbe of­frire un migliore servizio a prezzo più conveniente? Nella fattispecie avve­niva il contrario. Ora non più. Giac­ché anche Frecciarossa perde i colpi. Ieri,come d’abitudine,alle ore 12 sal­go sul Frecciarossa a Termini, carroz­za 3, sedile 7D e, bevuto l’aperitivo, aspetto l’addetta alle prenotazioni del ristorante. Invano. Cosicché alle 13 mi alzo e mi avvio alla carrozza 5 adattata a sala da pranzo. Vi accedo e constato con raccapriccio che i tavoli non sono apparecchiati.

Oddio, che succede? Mi dicono: «Oggi niente ristorante. È inattivo per mancanza di personale». Per­ché? «Perché sì. Siamo in pochi e non ce la facciamo a sopportare l’insoste­nibile pesantezza dell’incomben­za ». Osservo: «Ma io ho sborsato l’in­sostenibile prezzo del biglietto com­prendente la possibilità di pranzare, quindi datevi una mossa. Capisco che in caso di emergenza venga me­no la qualità del servizio, ma non l’as­senza del medesimo che, comun­que, andava eventualmente comuni­cata tramite l’alt­oparlante ai viaggia­tori o utenti o clienti o come diavolo li volete definire» (…)