Web tax, la tassa che divide la sinistra. Renzi: “Non è una grande idea”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 18 Dicembre 2013 - 10:28 OLTRE 6 MESI FA

Web tax, la tassa che divide la sinistra. Renzi: "Non è una grande idea"ROMA – Matteo Renzi, travolto dall’impeto o forse anche “mal consigliato” come ha detto Carlo De Benedetti (il cui quotidiano Repubblica è stato almeno fino ad ora al fianco di Matteo Renzi), ha commesso un altro passo falso, schierandosi contro quella che impropriamente e scioccamente è stata definita Googe tax mentre è solo un allineamento delle multinazionali internet alle regole fiscali cui tutti siamo soggetti.

Valentina Conte, su Repubblica, descrive il dramma del Pd lacerato dalla norma fiscale accantonata per colpa di Matteo Renzi, con un danno per lo Stato italiano di 1,5 miliardi di euro e conclude con la domanda:

Ma perché c’è bisogno di una tassa così?

La risposta è che

«stiamo assistendo alla più grande emorragia finanziaria della storia del capitalismo», sostiene Francesco Boccia (Pd), già autore di un ddl in materia, poi rimpiazzato dalla norma Fanucci. «Penso che Renzi sia mal consigliato sulla Web tax», ha detto ieri Carlo De Benedetti, presidente del Gruppo editoriale L’Espresso. «Dire “risolviamo il problema in Europa” mi sembra un po’ buttare la palla in tribuna. Non vedo perché Google debba essere esentata dal pagare le imposte, quando in Italia realizza fatturati e utili imponenti ».

Il ministro dello Sviluppo economico Zanonato (Pd), pur definendo l’emendamento “grossolano”, difende Matteo Renzi e si schiera con le aziende italiane che “devono essere messe nelle stesse condizioni di quelle che vendono su Internet”.

Cosa prevede l’emendamento approvato alla Camera?

In realtà si tratta di due norme, entrambe votate e passate. La prima, proposta dal deputato Fanucci (Pd), impone alle aziende italiane di acquistare unicamente prodotti e servizionlinedasoggetti muniti di partiti Iva. La seconda, firmata dalla collega Covello (Pd), costringe chi compra servizi di pubblicità online e “servizi ad essa ausiliari” a regolare le transazioni esclusivamente mediante bonifico bancario o postale,per renderle tracciabili.

Qual è l’obiettivo delle norme?

Obbligare le multinazionali del Web ad aprire la partita Iva in Italia e costringerle così a rinunciare agliescamotagefiscali che consentono loro di non fatturare dove vendono i prodotti o servizi, ma laddove hanno la sede, di solito Paesi dotati di regimi fiscali agevolati. È il caso di Google in Irlanda e di Amazon in Lussemburgo.

Sono pratiche lecite?

Si, ma elusive. Un’inchiesta del settimanale americano BusinessWeek calcola in 3,1 miliardi di dollari i risparmi di tasse che Google si è assicurata solo tra il 2007 e il 2009 grazie aldouble Irish,il “doppio irlandese”. Una strategia fiscale legale che consente al colosso di Brin e Page di convogliare l’88% di quanto guadagnato, fuori dagli Usa, in Irlanda. Per poi dirottarlo – tramite società di facciata, anche questa irlandese – nei paradisi fiscali, come le Bermuda. In questo modo, nel triennio considerato, Google ha pagato il 2,4% di tasse, contro percentuali tra 4,5 e 25,8 dei concorrenti Apple, Oracle, Microsoft, Ibm (…)