De Donno, un anno fa a Guastalla: le polemiche del medico suicida sullo sfondo di potere della medicina di Stato

di Enrico Pirondini
Pubblicato il 1 Agosto 2021 - 13:16 OLTRE 6 MESI FA
De Donno, un anno fa a Guastalla: le polemiche del medico suicida sullo sfondo di potere della medicina di Stato

De Donno, un anno fa a Guastalla: le polemiche del medico suicida sullo sfondo di potere della medicina di Stato

Giuseppe De Donno, un flash dal passato del medico suicida.  Siamo nel luglio del 2020. De Donno racconta e spiega ai suoi della Bassa cosa sia il plasma iperimmune. “Adesso vi dico cosa è successo a Mantova e la battaglia che abbiamo dovuto fare per spiegare, al Paese, quel che facevamo col plasma iperimmune”. Comincia così la serata – applauditissima  – che il dottor Giuseppe De Donno, primario di pneumologia del Carlo Poma, uomo del giorno  nella tempesta del virus, tiene al blasonato Circolo del tennis di Guastalla.

Ad ascoltarlo,in adorante silenzio, una “platea emozionante” (parole sue) composta da colleghi, medici ospedalieri, semplici cittadini, atleti, curiosi, ammiratori. De Donno colloquia col giornalista Roberto Bo. È calmo. Usa toni bassi.

La voce è chiara, sicura. Si sente in famiglia. È nell’Emilia dei Gonzaga, al di là del Grande Fiume c’è Viadana. È aria di casa, quella che invita a narrazioni sincere, senza retorica e senza infingimenti.

E ricostruisce 56 giorni di Coronavirus, bardato in Ospedale “giorno e notte”, la poltrona per i piccoli riposi notturni, tormentato da scelte difficili, ardite. Assediato da una stampa famelica, da tv invadenti, da opinionisti ed esperti del mezzo litro. Chiamate da ogni parte d’Italia, anche dall’estero. Audizioni in Senato e alla Camera.

E tutti a chiedere: ma davvero la sua cura col plasma di pazienti convalescenti “è miracolosa?”. Come le è venuta l’idea? Ma un piccolo (mica tanto) Ospedale di una città della Lombardia del Sud – la pur bella e storica Mantova “avvolta nella sua provinciale lietezza”(Panzini) –  come può salire sul podio più alto, insieme con il Policlinico di Pavia?
Cosa c’è sotto?

LA UNITÀ DI CRISI IL 24 FEBBRAIO

Il 23 febbraio 2020 il Coronavirus blocca le partite di calcio È un segnale forte.
Il Poma di Mantova poche ore dopo mette in piedi l’Unità di crisi. Non c’è tempo da perdere.

“Quattro giorni prima era partita la pandemia. Cremona, Crema, Casalmaggiore – ricorda De Donno – erano già in difficoltà. Noi no.Mantova era spettatrice.Il 26 ci arrivano i primi pazienti. Il 28 sera vado a casa e alle due di notte suona il telefono. È la dottoressa Basili, una modenese tosta, che mi avvisa che 110 ambulanze sono nel piazzale dell’Ospedale. Dico 110.Rientro subito, in piena notte. E ora che si fa?”.

CI SIAMO RICORDATI DELLA SPAGNOLA

“La storia è partita così“. De Donno è fulminato come Paolo sulla via di Damasco. Gli viene in mente la Spagnola, la madre di tutte le pandemie. Cose di un secolo fa. Siamo nel 1918-1920. Ben 500 milioni di infettati. Una Apocalisse. I primi  pazienti del Poma vengono messi per ore a pancia in giù. “Lo ammetto, era una tortura. I veri eroi sono stati loro.Ma non si poteva andare avanti così. Mi viene in mente la Spagnola e telefono al S.Matteo di Pavia”.

Entrano in scena due illustri colleghi: Massimo Franchini, direttore del Centro trasfusionale del Carlo Poma e Cesare Perotti, direttore di immunoematologia del Policlinico di Pavia. In tandem scrivono a tempo di record un protocollo per poter usare il plasma. È fatta. Il primo paziente arruolato guarisce. ”Il plasma funziona“ urla al telefono De Donno. È notte fonda. Dall’altra parte del filo c’è il dottor Franchini. ”Credo che la mia telefonata se la ricorderà tutta la vita”.

ARRIVANDO I DONATORI, L’AVIS SUGLI SCUDI

Per preparare le sacche di plasma occorrono donatori ad hoc. Cioè pazienti convalescenti da coronavirus. Il tam tam mediatico aiuta. “Arrivano donatori da Reggio, Piacenza, Carpi, dal Modenese. Un incremento del 18%.E’ un successo.  Mandiamo plasma anche a Rimini per soccorrere una ragazza. Guarirà.Ci chiamano da Ischia, Aosta,Trento, Milano, Bergamo. Arriviamoci  a 200 sacche. Mantova si è creata il suo fabbisogno. Ci chiamano addirittura dal Perù. La Sanità da quelle parti è gestita dall’Esercito. Parlo con i vertici militari, sempre in video conferenza. Si fanno subito le banche del plasma. Adesso il Perù è più avanti di noi. Ed altri Paesi si stanno organizzando”.

I successi di Mantova incuriosiscono. Fanno il giro d’Italia. Possibile che il Poma ed uno sconosciuto primario di pneumologia abbiano trovato la soluzione al Coronavirus in attesa del vaccino ?

“Mi chiama Bruno Vespa, vado a Porta a porta racconta Di Donno – e intuisco che c’è qualcosa di strano. In collegamento c’è Giuseppe Ippolito. Mah!”. Ippolito è il direttore scientifico dello Spallanzani di Roma. Gioca in casa. È quello che il 10 giugno aveva detto: “Nell’85% dei casi si tratta di un banale raffreddore”.

De Donno e Ippolito a Porta a Porta

De Donno alla seconda domanda fiuta la messinscena. Dice: “Me l’aspettavo. Ed allora parlo a raffica. Scatta la pubblicità. Dopo non mi fanno più parlare. In studio persino i cameraman si stupiscono. No, non si fa così. Sei giorni dopo Bruno Vespa è a Radio 105. Interviene una radio ascoltatrice e gli chiede perché mi ha trattato così. Vespa si infuria.E ribatte di aver trattato allo stesso modo il mio avversario.

Avversario ? No, no, tra noi medici non ci sono avversari. Solo medici con diverse interpretazioni. Da Vespa non andrò mai più. Il suo capo redattore mi ha richiamato: “Torni a Porta a porta, c’è gente che pagherebbe per essere invitata”.  De Donno fa una pausa. Si schiarisce la voce. E risponde: ”Guardi che io non sono uno showman. Sono un semplice medico ospedaliero. Mi interessa curare gli ammalati, non la ribalta televisiva“. Applausi.

Massimo Giletti lo chiama spesso. “Mi avrà invitato una decina di volte.. Gli ho detto no. Il mio posto è qui. A Mantova. Accanto ai malati”. Altri applausi.

TRE FARMACI SICURI ASPETTANDO IL VACCINO

Tre farmaci efficaci, che costano pochi euro e che sono adottati da cent’anni, possono arginare il Coronavirus. In attesa che venga scoperto e distribuito – nel mondo – il tanto sospirato vaccino. “Io non credo che sarà pronto in tre mesi.

Degli 80 tipi ai nastri di partenza della ricerca ne sono rimasti 18 senza effetti collaterali.

Nel frattempo,e io ripeto che siamo in tempo di guerra, noi adottiamo tre farmaci: plasma di pazienti convalescenti, il cortisone e l’eparina. Abbiamo ottenuto buoni risultati “. Ecco i magnifici tre.
1) PLASMA IPERIMMUNE – È la plasma terapia. Una terapia sperimentale ma solo per pazienti gravi, non gravissimi. Viene somministrato plasma ad alto contenuto di anticorpi. Plasma ricavato dal sangue di soggetti che hanno superato la malattia stessa.
2) CORTISONE – È un ormone che,appunto, viene usato come farmaco. Ha un potere antinfiammatorio. È noto con questo nome dal 1944.
3) EPARINA – È una sostanza organica da sempre utilizzata da De Donno. Ha capacità
anticoagulanti. Combatte il rischio trombotico, l’ischemia.

SCENDE IN CAMPO MATTARELLA E L’ USO COMPASSIONEVOLE

Racconta il primario: “Arriva da me una donna disperata. Ha il marito intubato da un mese. Il mio protocollo gli nega il plasma. Che fare? La donna non si scoraggia, lotta.

Non molla e scrive addirittura a Sergio Mattarella. Il capo dello Stato scende subito in campo, scrive al Prefetto di Mantova. Il Prefetto si mette immediatamente in contatto con la direzione del Poma. Superiamo i paletti imposti dal protocollo con un escamotage: il cosiddetto “uso compassionevole” che ci consente di intervenire. È fatta. Alla sera l’uomo non è più intubato. È salvo”.

Pochi conoscono l’uso compassionevole. Offre la possibilità – a fini terapeutici – di ricorrere a medicinali o terapie che non hanno ancora avuto una adeguata sperimentazione clinica. Occorre il cosiddetto “consenso informato“ del paziente  poi è tutto a posto. “Da quel giorno io non ho più negato il plasma a nessuno”.

Il decreto dell’uso compassionevole risale al 2006 ( decreto Turco ).

I FOCOLAI DI VIADANA, LE BUFALE DEI BIG

I recenti focolai di Viadana vengono minimizzati, spiegati. “I macelli sono luoghi di infezioni. E ci sono molti stranieri che non osservano le misure igieniche. Comunque, è vero, abbiamo avuto molti positivi ma pochi malati”.

Già che c’è, si toglie pure qualche sassolino dalle scarpe. Graffia Ilaria Capua, romana, virologa, saggista. Dirige il prestigioso dipartimento “Emerging pathogens” dell’Università della Florida. Ad aprile se l’era presa con i felini perché una tigre malese di 4 anni dello zoo del Bronx ( New York City ) aveva il Covid-19.

Glielo aveva passato un custode. Poi ebbe sospetti su due altre tigri siberiane e tre leoni africani. Tutti infondati. Presa da una smania di visibilità ha detto al più diffuso quotidiano di Berlino – Der Tagesspiegel del coeditore italo-tedesco Giovanni di Lorenzo – “ che entro l’anno avremo il vaccino”. Magari. Ilaria ha fatto pure la deputata eletta con Scelta civica. Pare che debba ancora riprendersi.

Quanto al prezzemolino Roberto Burioni  – virologo, accademico, divulgatore scientifico – è bastato un sorriso e poco più. Burioni è quello che il 2 febbraio dichiarò solennemente nel salotto di Fazio ( Rai 2 ): “Il rischio di contrarre il Coronavirus è pari a zero”. Infatti.

PAMELA DI CURTATONE, CASO DA LETTTERATURA

L’episodio più emblematico e commovente della lotta contro il virus vede al centro Pamela, una donna di 28 anni, residente a CURTATONE ( dato taciuto da De Donno ), incinta.

Racconta il medico: “Arriva da me una donna gravida, giovane, che da sette giorni ha una tosse squassante e febbre a 39.Mai successo che un pneumologo si occupi di una donna incinta. Interveniamo con una prima sacca di plasma. Niente. Alla terza giornata provvediamo con una seconda sacca. La tempesta virale scompare. Oggi Pamela sta bene. Martedì 28 partorirà una bimba che la mamma rischiava di perdere se non avessimo fatto la scelta – difficile – che abbiamo fatto col dottor Grisolia. Si chiamerà Vittoria. E io mi sento il nonno di Vittoria”.

Il suo caso fa già letteratura. Dice: “Mi hanno già incaricato, proprio oggi, di scrivere un trattato per una rivista scientifica. È raro che ad un italiano venga affidato un compito simile. Ma noi lavoriamo per il Paese. Daremo il plasma a tutti quelli che ce lo chiederanno. La Comunità europea ha istituito una cabina di regia. E ha chiamato Pavia e Mantova. Non Pisa come ha scelto il governo. Per affossarci. Ma noi non ci stiamo. E continueremo a lottare”.