Ivan e gli altri. Trasfusioni infette, contagio Hiv: morti? Niente risarcimento

Pubblicato il 16 Dicembre 2012 - 14:50 OLTRE 6 MESI FA
Ivan e gli altri. Trasfusioni infette, contagio Hiv: morti? Niente risarcimento

ROMA – Gli emofiliaci morti per aver contratto l’Aids  da una trasfusione di sangue infetto non saranno risarciti dallo Stato, scrive Gian Antonio Stella sul Corriere della Sera. Stella racconta la storia di Ivan, ragazzo emofiliaco contagiato per una trasfusione e “abbandonato” dallo Stato. Ma le storie come quella di Ivan sono molte in Italia: 2605 gli italiani morti tra il 1985 ed il 2008 per una trasfusione infetta, 550 gli emofiliaci, secondo l’Associazione Politrasfusi.

Stella parla di Ivan Cavalli, emofiliaco di Tipo A, la forma più grave della patologia. La madre di Ivan, Giovanna Toni Cavalli, racconta il calvario iniziato il 25 febbraio 1986. Ivan risulta positivo al contagio da virus Hiv, racconta la madre:

“Nonostante le difficoltà che la malattia (emofilia, ndr) gli procurava era felice di vivere e cresceva sereno. Da quel momento (il contagio da Hiv, ndr)  la vita di Ivan e quella di tutta la nostra famiglia cambiò radicalmenta. Stava studiando Economia e commercio all’Università di Bologna e lavorava come collaboratore in uno studio professionale: l’insorgere della malattia lo costrinse ad abbandonare il lavoro e l’aggravarsi del suo quadro clinico gli impedì di arrivare alla laurea, traguardo per raggiungere il quale aveva fatto tanti sacrifici”.

Una famiglia distrutta: il padre di Ivan, Cesare Cavalli, si ammalò di depressione, mentre la madre di anoressia e arrivò a pesare 35 chili appena. Altre le patologie che lo stress e la preoccupazione per quel figlio causarono ai coniugi Cavalli. Ivan soffrì, molto, e morì il 10 settembre 1991, 5 anni dopo il contagio. Non aveva compiuto 26 anni.

Finito il calvario medico, iniziò quello con la legge, scrive Stella:

“Un anno e mezzo dopo, ai sensi della legge 210 del 1992, una Commissione medica ospedaliera di Ancona era incaricata di approfondire il caso. Altri due anni e comunicava al papà del ragazzo, Cesare Cavalli, che sì, esisteva «un nesso causale tra la somministrazione di emoderivati con il decesso avvenuto per Aids complicata da polmonite da Pneumocystis carinii-neurotoxoplasmosi». Il che dava alla famiglia il diritto a un indennizzo, diciamo così provvisorio, di 150 milioni di lire. Pochissimo, per la perdita di un figlio”.

L’inizio di un calvario legale, che da Trento, dove il processo fu avviato, arrivò a Napoli, dove si svolgerà la prima udienza il 22 dicembre prossimo:

“Solo del 2003 lo Stato riconobbe il diritto di circa 700 emofilici ad avere un risarcimento serio: circa 400 mila euro ai malati ancora in vita e 615 mila ai familiari dei morti. Avuta la notizia, anche la famiglia di Ivan, come tante altre, avviò una causa giudiziaria per avere ciò che lo Stato ad altri aveva già riconosciuto. Da allora, però, il processo andato per le lunghe”.

Rinvii su rinvii fino al decreto ministeriale del 4 maggio 2012 del governo Monti, che ha escluso dal risarcimento i familiari dei deceduti che avevano iniziato una causa dopo oltre 10 anni dal decesso del congiunto:7

“Una batosta. «Ho già ricevuto otto comunicazioni dal ministero che escludono risarcimenti invocando la caduta del reato di prescrizione — sospira l’avvocato Calandrino —. L’ho detto anche ai Cavalli: è una vergogna, ma è praticamente scontato che saranno tagliati fuori».

Ma quella di Ivan è solo una storia come tante, triste storia degli altri malati che non riceveranno il rimborso che gli spetta:

“Sono state 76 mila le richieste di risarcimento via via presentate al ministero della Salute. Circa 49 mila hanno avuto un modesto assegno di 1.080 euro a bimestre (i vivi) o una «una tantum» (i parenti dei morti) di 49 mila euro. Gli altri sono ancora in attesa di definire i loro diritti.

È una storia brutta, quella del sangue infetto. Una storia dove si intrecciano la malasanità e la malagiustizia. La prima perché, come ha definitivamente sancito la Corte di Cassazione, fin dalla fine degli anni Sessanta era chiaro che l’epatite B e l’epatite C (alle quali si sarebbe poi aggiunto l’Aids) potevano essere trasmesse attraverso le trasfusioni di emoderivati prodotti partendo dal sangue di persone a rischio e non adeguatamente monitorate. Come ad esempio i detenuti di alcune carceri statunitensi.

La seconda, cioè la malagiustizia, perché solo sabato prossimo, 22 dicembre, alla vigilia di Natale (scontato un nuovo rinvio) si terrà davanti al gup del Tribunale di Napoli Loredana Di Girolamo l’udienza preliminare del processo «plasma infetto». Sabato prossimo”.

Quasi 20 anni tra sofferenze e dolori, fisici ed emotivi, che lo Stato ha deciso di non riconoscere ad Ivan e ad altri malati che con lui hanno condiviso il contagio e la malattia.