Un nuovo coronavirus (NCoV) preoccupa: “È peggio della Sars”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 28 Marzo 2013 - 19:29| Aggiornato il 23 Novembre 2022 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – A 10 anni dall’epidemia di polmonite atipica, meglio nota come Sars, è comparso un nuovo coronavirus, che ha già un nome: NCoV. Un decennio dopo la morte di Carlo Urbani, il medico dell’Oms che per primo identificò la Sars, molto è cambiato nel sistema di allerta e di gestione delle epidemie nel mondo, con modalità di reazione rapida e laboratori di riferimento per patologia, per far fronte a nuovi virus.

Nuovi come il misterioso coronavirus comparso la scorsa estate, che ha già fatto undici vittime in Medio Oriente, e contagiato 17 persone. Secondo gli scienziati dell’università di Hong Kong è molto più pericoloso della Sars, perché può interessare diversi organi e uccidere rapidamente le cellule.

Agisce attaccando cellule umane nel fegato, reni, vie respiratorie basse, intestino e tessuti microfagi e ha un tasso di mortalità del 56% rispetto a quello della Sars dell’11%. Ma nel caso ci fosse un’epidemia, l’Italia si sta già attrezzando. Presso l’Istituto Superiore di Sanità (Iss) sono stati infatti messi a punto i reagenti per la diagnosi.

Attualmente, quello che si sa di questo virus, è che è trasmissibile all’uomo e tra uomini – visto che ci sono stati due casi nella stessa famiglia – anche se ciò è avvenuto finora in modo limitato. In circa un anno i casi sono stati una quindicina. Non c’è ancora un vero allarme, ma il livello di attenzione è comunque molto alto. Con la Sars l’evoluzione dell’epidemia è stata ben diversa. Il virus infettò nel mondo 8.439 persone, uccidendone 812, tra cui il medico dell’Oms, Carlo Urbani, il 29 marzo 2003.

L’epidemia colpì principalmente Cina, Taiwan e Hong Kong, diffondendosi in 30 Paesi tra cui l’Italia. ”I primi casi furono in Cina, nella provincia di Guandong – ricorda Gianni Rezza, epidemiologo dell’Iss – nel novembre 2002, ma fu solo nel marzo 2003 che scattò l’allarme, con l’Oms che lanciava l’allerta ai viaggiatori dopo una serie di casi di polmonite verificatisi ad Hong Kong, Indonesia, Singapore, Filippine, Canada e Thailandia”.

Da lì furono prese misure di quarantena e controlli nei viaggiatori in tutti gli aeroporti europei per chi proveniva dalle zone a rischio, poi i primi ricoveri e l’attivazione di 4 laboratori di riferimento dell’Oms per isolare il microrganismo responsabile della malattia. ”La Cina ritardò nell’identificare il problema – continua Rezza – ma una volta che la malattia arrivò a Pechino, adottò delle misure molto severe”.

Da quell’esperienza però l’Oms si adoperò per migliorare le cose, lanciando un programma di modifica dei regolamenti internazionali. Si stabilì che era sbagliato omettere e nascondere il problema, e che invece andava premiato chi reagiva e agiva con la massima trasparenza, rendendo noti i dati. Adesso, quando c’è un’epidemia scatta l’allerta, i Paesi si mettono in contatto direttamente con l’Oms, e i laboratori di riferimento si scambiano materiali e informazioni per identificare subito i virus.

”L’Oms ha una rete di laboratori di riferimento – conclude Rezza – per tutte le patologie, e ce n’è più o meno uno per ogni Paese. Alcuni sono sovranazionali. L’Italia ad esempio è sede del laboratorio di riferimento dell’Oms per l’influenza. Il sistema funziona abbastanza bene. Del resto questo nuovo coronavirus è stato identificato molto rapidamente”.