Russare accorcia la vita e provoca infarto e ictus

Pubblicato il 4 Dicembre 2009 - 18:43 OLTRE 6 MESI FA

Un incidente automobilistico su cinque è dovuto ai disturbi respiratori del sonno. La sonnolenza diurna è infatti una delle conseguenze principali della sindrome dell’apnea ostruttiva, una patologia sottostimata ma con costi socio-sanitari rilevanti, che in Italia colpisce oltre 1 milione e 600mila persone.

E in chi russa il rischio di ictus aumenta di 3,8 volte, quello di ipertensione arteriosa di 2,5, quello di diabete raddoppia. Uno studio dell’Istituto superiore di sanità ha quantificato in oltre 800 milioni di euro l’anno i costi direttamente riconducibili a questi disturbi.

Gli pneumologi riuniti fino a domani 5 dicembre a Milano nel 40esimo Congresso nazionale dell’Associazione italiana pneumologi ospedalieri (Aipo) e decimo Congresso dell’Unione italiana della pneumologia (Uip) lanciano l’appello: si deve fare di più, oggi solo il 3% dei casi è diagnosticato. Anche perché vincere il problema è semplice, con rimedi a domicilio, oggi disponibili e a basso costo.

Spiega il professor Antonio Corrado, presidente nazionale Aipo: «Il trattamento prevede l’utilizzo di una maschera nasale o facciale che, applicata durante il sonno, consente di normalizzare la respirazione e dormire meglio. Ovviamente, si deve porre attenzione anche al controllo del peso corporeo, evitare il fumo e l’assunzione di alcool prima di andare a letto». I sintomi principali di questa sindrome sono il russamento, ripetuti episodi di apnee notturne, sonno disturbato, sonnolenza diurna con pesanti ripercussioni nella vita di relazione e professionale.

«La prevalenza di questa malattia – sottolinea il professor Giuseppe Insalaco, responsabile dell’Area fisiopatologica dell’Aipo – sta aumentando in parallelo con l’epidemia di obesità che si sta diffondendo nei Paesi occidentali colpendo molto spesso persone di età media e quindi in età lavorativa. Tendono pertanto a sviluppare ipertensione arteriosa, diabete, deficit neurocognitivi e possono incorrere in complicanze cardiovascolari come angina, infarto del miocardio o ictus».

La diagnosi avviene attraverso una valutazione strumentale durante il sonno. «L’esame più affidabile – afferma il dottor Francesco Fanfulla, responsabile del gruppo di studio sui “Disturbi respiratori nel sonno” dell’Aipo – è la polisonnografia, anche se spesso si ricorre ad indagini più semplici e sufficientemente valide, riservandola solo ai casi clinici meno conclamati». In Italia vi sono oggi solo 160 strutture pneumologiche in grado di diagnosticare e trattare correttamente questa patologia: ognuna dovrebbe seguire 10.000 pazienti.

Un’indagine condotta in Toscana ha sottolineato che sono necessari 60 giorni per accedere alla prima visita, 300 per iniziare il trattamento. «È necessario pertanto – prosegue il dottor Fanfulla – ridefinire l’approccio a questa patologia, a favore di un modello articolato che preveda percorsi diagnostico-terapeutici flessibili, sia ambulatoriali che riabilitativi, per venire incontro alle esigenze dei pazienti e gestire opportunamente i casi più complessi e gravi».

Il trattamento più diffuso comporta l’applicazione di una pressione positiva continua alle vie aeree: fa uso di un minicompressore collegato a una maschera facciale che il paziente deve indossare quando va a dormire. Già dalla prima notte normalizza la funzione respiratoria permettendo un efficace riposo. È dimostrato che questo rimedio corregge l’insufficienza respiratoria, riduce il rischio cardio e cerebrovascolare e migliora i deficit neurocognitivi.

Negli Stati Uniti è stato calcolato che se tutti i pazienti con sindrome dell’apnea ostruttiva del sonno venissero trattati con la mascherina si salverebbero 980 vite ogni anno. Nonostante sia molto efficace, la ridotta adesione rappresenta un limite di questa terapia: la percentuale dei pazienti che riesce a indossare la maschera nasale o facciale per meno di 4 ore per notte è compresa tra il 46 e l’83%.