Coronavirus, terapie intensive sature. Medici e infermieri: “Non si decida sulla base dell’età”

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Ottobre 2020 - 20:11 OLTRE 6 MESI FA
Coronavirus, in 17 regioni superata la soglia critica per le terapie intensive

Coronavirus, in 17 regioni superata la soglia critica per le terapie intensive (foto d’archivio Ansa)

Coronavirus, chi far accedere alle terapie intensive? Medici e infermieri: “Non si scelga in base all’età”.

Coronavirus, terapie intensive piene ma secondo medici ed infermieri non bisogna scegliere in base all’età.

Coronavirus, con le terapie intensive che si stanno riempiendo progressivamente in tutta Italia torna la paura.

Già vissuta lo scorso marzo, di trovarsi in una situazione in cui dover scegliere chi far accedere alle rianimazioni.

Il tema, che non è solo italiano, è stato affrontato oggi da un documento congiunto della Fnomceo, la federazione degli ordini dei medici, e dalla Siaarti, la società scientifica che riunisce i rianimatori.

Se c’è carenza di risorse, è la raccomandazione dei medici, l’accesso alle terapie intensive va deciso caso per caso.

In base a diversi parametri e non solo sull’età, fermo restando che anche a chi rimane escluso bisogna fornire le migliori cure possibili.

“Se lo squilibrio tra necessità e risorse persiste, la precedenza per l’accesso ai trattamenti intensivi va a chi potrà ottenere grazie ad essi un concreto, accettabile e duraturo beneficio.

Applicando criteri rigorosi, concorrenti e integrati, valutati caso per caso – scrivono Fnomceo e Siaarti -.

La gravità del quadro clinico, le comorbilità, lo stato funzionale pregresso, l’impatto sulla persona dei potenziali effetti collaterali delle cure intensive.

La conoscenza di espressioni di volontà precedenti nonché la stessa età biologica, la quale non può mai assumere carattere prevalente”.

I pazienti non vanno abbandonati

Il documento ribadisce che anche chi non viene trattato in terapia intensiva non può essere abbandonato.

“Coloro che non sono trattabili in modo intensivo, ovvero non sono eleggibili ad un trattamento intensivo a causa dell’improbabilità d’ottenere concreti, accettabili e duraturi benefici clinici, sono comunque presi in carico.

Prestando loro le cure appropriate e proporzionate di cui vi sia disponibilità – affermano i medici –

Il diritto individuale all’eguale accesso alle cure sanitarie deve rimanere il cardine della protezione che lo Stato è tenuto a fornire.

E che i Medici hanno il dovere di garantire quale principio deontologico indissolubile”.

Il tema era emerso già nei momenti più duri della ‘prima ondata’.

Quando un documento interno della Siaarti faceva riferimento alla necessità di privilegiare la “maggior speranza di vita”.

“Può rendersi necessario porre un limite di età all’ingresso in TI

– scriveva all’epoca la Siaarti, suscitando numerose polemiche -.

Non si tratta di compiere scelte meramente di valore.

Ma di riservare risorse che potrebbero essere scarsissime a chi ha in primis più probabilità di sopravvivenza.

E secondariamente a chi può avere più anni di vita salvata”.

Gli esempi di Svezia e Svizzera

Il problema si sta facendo sentire anche negli altri paesi.

Ad esempio aveva portato a marzo la Svezia a scegliere di non ammettere in terapia intensiva pazienti con più di 80 anni.

In Svizzera ad esempio pochi giorni fa è stato pubblicato un documento dei rianimatori in cui si scrive che:

“Se a causa di un totale sovraccarico del reparto specializzato si rende necessario respingere pazienti che necessitano di un trattamento di terapia intensiva, il criterio determinante a livello di triage è la prognosi a breve termine.

L’età in sé e per sé non è un criterio decisionale applicabile.

Essa, tuttavia, viene considerata indirettamente nell’ambito del criterio principale «prognosi a breve termine», in quanto gli anziani presentano più frequentemente situazioni di comorbidità”. (fonte ANSA).