Tumore al polmone: il vecchio farmaco funziona meglio del nuovo. E costa meno

Pubblicato il 6 Giugno 2012 - 12:16 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Nella cura del cancro ai polmoni, il vecchio farmaco, il “docetaxel”, funziona molto meglio del nuovo, l'”erlotinib”. E del suo gemello il gefintinib”. Ed è molto meno costoso: a parità di trattamento chemioterapico, due mesi, il vecchio costa 890 euro, contro i 2900 euro dei nuovi. Il fatto è che i nuovi arrivati, ispirati alla moderna “target-teraphy” che individua e colpisce il bersaglio molecolare, funziona solo nel 10% dei casi. Nei casi in cui, cioè, il bersaglio è noto. Parliamo dei pazienti con una certa, definita, mutazione genetica.

Mutazione presente nei tumori (cosiddetti non a piccole cellule) che colpiscono i fumatori, mentre tra ex fumatori e non fumatori la mutazione è più rara. Oppure è presente in particolari gruppi etnici, per esempio gli asiatici. Ora si scopre che i test di sperimentazione dell’erlotinib sono stati condotti su gruppi di persone che contavano appunto un numero rilevante di asiatici. Fisiologicamente più sensibili alla mutazione dei caucasici. Lo ha scoperto e portato all’attenzione mondiale una ricercatrice italiana, Marina Garassino. La chiamano per simpatia Amelie come quella del meraviglioso mondo, perché è sempre lì che traffica con pazienti, dati, statistiche, ricerche come non esistesse nient’altro. E meno male, visti i risultati.

40 anni, milanese, fa la ricercatrice in Italia. Così la descrive il Corriere della Sera. E’ la stessa scienziata che denunciò l’assenza di terapie del dolore adeguate per la metà delle donne colpite dal cancro al seno nella fase iniziale. Non è uno dei tanti cervelli in fuga, ma all’estero la conoscono tutti. Come a Chicago, dove al mega congresso di oncologia, alla seduta plenaria sul tumore polmonare, il meglio della ricerca internazionale ha accolto le sue conclusioni. Frutto di una ricerca indipendente. “Già all’atto della registrazione, nel 2005, si sapeva che che il farmaco era efficace solo nel 10% dei casi, cioè nei pazienti che presentano una certa mutazione genetica. Ma l’azienda produttrice ha continuato a promuoverlo e gli oncologi a prescriverlo”.

“Amelie” non ha smesso di cercare, di fare il detective alla ricerca di soluzioni. E’ infatti inutilmente doloroso, oltreché inefficace, somministrare farmaci con pericolosi effetti collaterali che per il 90% dei casi non funzionano. Una investigazione, quella di Marina Garassino, che mette in luce una falla nel metodo empirico di sperimentazione e rivela la straordinaria capacità di ammettere l’errore e tornare indietro. Al farmaco tradizionale. Che fra l’altro, in tempi di crisi e di restringimento delle risorse disponibili, ha il vantaggio di costare meno.

Per la tasca dei pazienti e per le casse delle amministrazioni sanitarie. C’è di più. Amelie ha dimostrato ancora una volta, visto che evidentemente ce n’era bisogno, il valore della ricerca indipendente. Lo sforzo dell’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco, è stato premiato. Aveva infatti messo a disposizione un budget da ben 1 milione e 800 mila  euro per finanziare uno studio indipendente. Tra Aifa e Amelie, una storia edificante di talento e programmazione.