Il vaccino Pfizer contro il Covid è efficace al 90% ma ora il problema è quello del trasposto e della conservazione. Deve stare a meno 70 gradi altrimenti è inefficace.
Serve il freddo, tanto freddo, per mantenere efficace il vaccino Pfizer contro il coronavirus. Deve stare a una temperatura di 70 gradi sotto zero e ci deve stare sia durante il viaggio verso l’Italia che durante l’attesa di essere utilizzato.
C’è poi un altro aspetto: dopo una settimana scade. Quindi bisogna farlo arrivare di settimana in settimana. Impresa ardua, soprattutto per i viaggi da fare a quella temperatura. Se poi ci mettiamo anche il fatto che servono due dosi a persona da fare nell’arco di 3-4 settimane allora è ancora più complicato.
A differenza dei vaccini basati su virus inattivati che sono trasportati e conservati tra +2 e +8 °C (un ordinario frigorifero), quelli a Rna (quello contro il Covid) richiedono una temperature di –70 °C. Ciò è dovuto non solo alla notevole instabilità termica della molecola di Rna, ma anche alla forte sensibilità al calore delle nanoparticelle.
Per mantenere –70 °C servono degli ultracongelatori, macchine ingombranti disponibili sinora in pochi esemplari nei laboratori e negli ospedali. Oppure la produzione di una grande quantità di “ghiaccio secco” (anidride carbonica allo stato solido, da conservare in appositi contenitori) che però è rischioso da portare in aereo.
Come funziona il vaccino Pfizer contro il Covid
Il vaccino utilizza la sequenza del materiale genetico del nuovo coronavirus, ossia l’acido ribonucleico (Rna), il messaggero molecolare che contiene le istruzioni per costruire le proteine del virus. Utilizzare l’Rna messaggero (mRna) è stata una scelta dettata dall’esigenza di riuscire a produrre vaccini in breve tempo, ottenendo una risposta immunitaria ottimale.
L’obiettivo è somministrare direttamente l’mRna che controlla la produzione di una proteina contro la quale si vuole scatenare la reazione del sistema immunitario. Nel caso del virus responsabile della pandemia la proteina è la Spike, l’artiglio molecolare utilizzato per agganciare le cellule sane e invaderle. Per trasportare le istruzioni per indurre le cellule a produrre la proteina Spike vengono utilizzate minuscole navette.
La proteina Spike è stata una delle prime a essere individuata, è ben nota e si è osservato che il sistema immunitario umano è in grado di riconoscerla. Non appena questo avviene, le difese dell’organismo stimolano la produzione di cellule B, che producono anticorpi, e di cellule T, specializzate nel distruggere le cellule infette. (Fonti La Stampa e Avvenire).