I fossili parlano: circa 600 milioni di storia dell’evoluzione raccontati nella pietra

di Veronica Nicosia
Pubblicato il 27 Luglio 2010 - 11:49| Aggiornato il 1 Agosto 2011 OLTRE 6 MESI FA

Era il 1909 quando Charles Walcott, paleontologo e segretario dello Smithsonian Institution, scoprì nel Burgess Pass, località delle Montagne Rocciose del Canada nella regione della Columbia Britannica, i più antichi esemplari fossili di organismi complessi, in rocce datate circa 505 milioni di anni.

L’importanza della sua scoperta risiede nel fatto che i fossili costituirono le prime prove dell’Esplosione Cambriana, un periodo geologico che va dai 542 ai 490 milioni di anni fa, e caratterizzata dalla nascita di organismi pluricellulari complessi. Sebbene fino a quel momento non esistessero fossili che documentassero l’emergere dei trilobiti e di altre forme animali, per i paleontologi era chiara la loro esistenza, e lo stesso Charles Darwin ebbe dei problemi nell’esporre le sue tesi sull’evoluzione in assenza di tali prove.

Infatti precedentemente alla scoperta di Walcott non vi erano fossili nelle grandi formazioni rocciose che potessero giustificare l’Esplosione Cambriana, ovvero le forme pluricellulari che rappresentano un anello del processo evolutivo dagli organismi unicellulari a quelli pluricellulari complessi.

“Durante questo vasto, già abbastanza sconosciuto, periodo di tempo, il mondo era affollato da creature viventi” – afferma Darwin nel saggio “L’Origine delle specie”, ed ammette candidamente – ” Sulla questione del perché non siano state trovate prove di questi vasti periodi primordiali, non posso dare risposte soddisfacenti”.

Ma col passare degli anni, e con ricerche nei siti più remoti del pianeta come il deserto della Namibia, l’Outback dell’Australia, il nord della Russia, o le coste di Terranova, sono stati rinvenute molte prove fossili, anche precedenti al Cambriano, e  i grandi ammassi rocciosi hanno rivelato un mondo di oceani popolati da differenti forme di vita, inclusi animali primitivi.

Un’altro periodo geologico, l’Ediacarano , che fa dai 635 ai 542 milioni di anni fa, è stato documentato dai resti fossili, ed è di grande interesse non solo per i paleontologi, ma anche per i geologi, che hanno sviluppato molte teorie su come i drastici cambiamenti climatici e chimici sulla Terra abbiano influenzato profondamente l’evoluzione animale.

La svolta sui fossili dell’Ediacarano è dovuta non ad un paleontologo, ma al geologo australiano Reginald Sprigg, che nel 1946 cercando delle vecchie mine nelle Ediacaran Hills, sito collinare delle Flinders Range a centinaia di miglia a nord di Adelaide, notò sulla superficie delle rocce delle sorprendenti forme discoidali dal diametro di 4 pollici, che interpretò come resti di creature dal corpo soffice, come le meduse o loro antichi parenti, e che chiamò Dickinsonia.

La grande scoperta di Sprigg fu aspramente ignorata dalla comunità scientifica dell’epoca, che definì le Dickinsonia come artefatti dovuti all’azione degli agenti climatici sulle rocce, e sebbene Sprigg fosse certo che quelle forme geometriche dovessero appartenere necessariamente a primitive forme di vita, e comprendesse l’importanza dell’aver scoperto le più antiche prove di vita, snobbato anche dai giornali abbandonò le ricerche paleontologiche per dedicarsi ad attività geologiche di carattere industriale, e maggiormente remunerative.

Affinché la comunità scientifica riabilitasse le scoperte di Sprigg ci vollero circa 10 anni, e molti altri fossili dalle forme discoidali, tubolari, lineari o spiroidali,  rinvenuti in più di 30 località remote del pianeta, come il Mistaken Point nella penisola Avalon in Terranova o nel Mar Bianco russo, e tutte datate nell’Ediacarano.

Inaspettatamente invece di portare luce nel mondo della paleontologia, la scoperta di questi fossili ha generato nuovi misteri e posto nuovi interrogativi legati anche alle differenti interpretazioni che scienziati diversi hanno datto allo stesso fossile, sia in termini di specie che in termini di età, come per le Dickinsionia, una volta definite parenti delle meduse, un’altra associate ad un antico verme marino, altre ancora ad un lichene . Ed è per placare queste differenti interpretazioni che Andrew Knoll, professore della Harvard University, ha ideato ed eseguito una versione paleontologica del test di “Rorschach” sulle forme degli organismi ediacarani.

La difficoltà nell’identificazione, e nella classificazione, degli organismi dell’Ediacarano risiede nell’assenza di forme anatomiche analoghe a quelle degli organismi moderni, quali l’assenza di orifizi dell’apparato digerente nel caso delle Dickinsonia, o di conchiglie nel caso di alcuni gruppi di organismi del Cambriano, anche se la maggior parte degli organismi presenta caratteri anatomici in linea con i loro corrispettivi moderni.

Il compito degli scienziati è ora quello di spiegare come creature quali le Dickinsonia, potessero alimentarsi non avendo una bocca, e come in generale questi organismi potessero sopravvivere ed esplicare le loro normali funzioni biologiche pur avendo un’anatomia a noi non familiare. Le specie più difficili da identificare sono quelle con un corpo a simmetria bilaterale (generalmente la simmetria è una caratteristica degli organismi moderni a partire dal periodo Cambriano) quali le Kiberella, antenati dei molluschi la cui età risale a 555 milioni di anni fa, cioè ben 50 milioni di anni più vecchie degli organismi rinvenuti al Burgess Shale.

I fossili Ediacarani aprono molti interrogativi sull’evoluzione, tra i quali come, e perché, dopo oltre 2,5 miliardi di anni in cui gli organismi microscopici hanno dominato la vita sulla Terra, siano emerse grandi e complesse forme di vita. La risposta, secondo i geologici, risiede nel drastico cambiamento dei livelli di ossigeno nell’atmosfera, evidenziato anche nelle rocce risalenti a quel periodo,  ed hanno stabilito che le creature emersero dalle profondità marine tra il 575 e i 565 milioni di anni fa, dopo la maggiore glaciazione che risale a 580 milioni di anni fa.

Analisi chimiche recenti hanno sottolineato che l’ossigeno, che probabilmente ha avuto il ruolo di catalizzatore nell’evoluzione, era assente dalle profondità oceanica prima e nel mentre della glaciazione, per poi rilevare nei sedimenti le testimonianze di grandi quantità di ossigeno subito dopo.

In una nota inviata all’amico geologo Charles Lyell dopo la pubblicazione della “Origine delle specie” Darwin descrisse in una “simpatica genealogia per l’umanità” i nostri progenitori come “animali che respiravano in acqua, con una vescica natatoria, una coda per nuotare, un teschio imperfetto e indubbiamente erano ermafroditi!”, ed oggi, alla luce di quanto i fossili dell’Ediacarano ci hanno rivelato, rimarrebbe sorpreso nel sapere che probabilmente le sue aspettative furono fin troppo generose, dato che probabilmente gli antichi organismi vivevano immobili sui fondali marini senza testa, né coda, né organi sessuali.