Cattolico vero un italiano su tre. Gli altri fedeli di una Chiesa “immaginaria”

di Alessandro Camilli
Pubblicato il 7 Luglio 2011 - 15:14 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – Italia terra di Papi, sede dello stato Vaticano e luogo in cui è nata la chiesa cattolica, ma non la religione cristiana. Duemila anni dopo la nascita di Cristo, e 150 anni dopo la fine dello Stato Pontificio, gli italiani sono ancora cattolici? Vanno ancora a messa? La risposta è ni. I praticanti sono una minoranza, non sparuta ma in calo numerico, che si attesta intorno al 30% della popolazione, circa 18milioni di persone. Mentre i non credenti convinti sono poco meno del 20% degli italiani. E tutti gli altri? I rimanenti, cioè circa la metà della popolazione del belpaese, non è né di fatto l’uno né l’altro: crede ma non tutto e pratica poco i momenti e le stazioni del culto. La maggioranza è quindi composta da quelli che potrebbero definirsi cattolici sì, ma per inerzia più che per azione.

Gli italiani sono certamente ancora un popolo di cattolici: sei coppie su dieci si sposano all’altare, otto bambini su dieci nascono dopo le nozze, nove contribuenti su dieci regalano l’otto per mille alla Cei (e quindi lo fa anche la metà di quel venti per cento che non mette mai piede in chiesa), e nove ragazzi su dieci frequentano l’ora di religione a scuola. Ma, in realtà, questi dati più che una fede vera testimoniano un conformismo sociale, un credo di facciata e di socialità. Ci si sposa in chiesa perché mamma ci tiene, si segue l’ora di religione perché altrimenti il bimbo si sente “diverso” ma, quando poi si tratta di andare a messa o altro, la percentuale dei devoti precipita.

Il dato emerge da uno studio che Roberto Cartocci, docente di Scienze politiche a Bologna, ha realizzato insieme alla sua équipe per l’Istituto Cattaneo e ripreso poi da Repubblica. L’analisi fatta da Cartocci mostra che il dato numerico relativo ai credenti e non in Italia non si è sostanzialmente modificato negli ultimi anni, ma si è invece modificata, e di molto, la distribuzione geografica dei cattolici in Italia. Le “regioni bianche”, il Triveneto devoto, il Nord-Est cattolico serbatoio di voti democristiani, ha cambiato faccia e credo. A Verona si celebrano più matrimoni civili che a Modena. A Belluno nascono più bambini da coppie non sposate che a Lucca. I goriziani negano il loro otto per mille alla Chiesa più dei pisani. A Venezia la quota di studenti che “non si avvalgono” dell’ora di religione cattolica è identica a quella di Ravenna.

Certo, i veneti vanno ancora a messa (uno su tre) molto più dei toscani (uno su cinque); ma lontano dal sagrato, nelle scelte individuali, intime, familiari, private, l’etica dell’Italia che per decenni fornì un modello di modernità credente, antagonista di quello scristianizzato ed edonista delle “regioni rosse”, ormai appare definitivamente omologata al resto del Nord. Dove al massimo si declina il comportamento religioso su modelli personali. La pratica più intensa della fede è colata giù, lungo i meridiani, di parecchie centinaia di chilometri. Al Nord la secolarizzazione, al Sud la devozione. E’ emersa dunque una polarizzazione fortissima, un confine antico che ricalca quello del regno borbonico, tagliando la penisola a metà. La più “laica” delle province meridionali, Latina, nella graduatoria dell’indice generale di secolarizzazione messo a punto dall’inchiesta, non raggiunge il punteggio della più “clericale” di quelle settentrionali, Vicenza.

A sud di Roma la secolarizzazione ha rallentato e in molti casi si è arrestata (in Campania il record di frequenza alla messa domenicale, 42,8%, a Palermo quello delle nozze religiose, 76,1%), e a volte si è persino ribaltata di segno, come nel caso clamoroso di Napoli, che fino al 1961 era la metropoli italiana col numero più alto di matrimoni civili (17,7% nel ’51, quando a Milano erano il 5,4%), e che dagli anni ottanta è passata in coda, scavalcata dall’irruenza laicista delle altre metropoli, anche meridionali (ora le nozze civili sono il 26,3 a Napoli contro il 57,6% di Milano e il 32,2% di Catania). Una “conversione” strepitosa che attende una spiegazione, che però data dagli anni del dopo-terremoto e corre parallela al sorgere dell’impero di Gomorra: e le mafie sono sempre molto affezionate al rispetto delle tradizioni.

Secondo i ricercatori il clero italiano non dovrebbe troppo rallegrarsi di questo “trasloco” di fede da Nord a Sud. La mappa della nuova Italia cattolica è infatti tristemente sovrapponibile a quella dell’Italia del sottosviluppo economico, dell’inefficienza pubblica e del degrado civile. È un fatto, dimostrato dati alla mano nel volume: si prega di più dove c’è meno raccolta differenziata dei rifiuti, si va più a messa dove si emigra di più verso gli ospedali del Nord. La devozione meridionale tradizionale convive con una socialità disgregata, incapace di produrre più di un coinvolgimento puramente formale e rituale dei parrocchiani, di contrastare la corruzione delle istituzioni, il dilagare dell’illegalità, il degrado del senso di comunità, il deficit di Stato.