Non è la memoria a ingannarti, sei tu. Parola del neurologo Davide Schiffer

Pubblicato il 29 Luglio 2009 - 13:51 OLTRE 6 MESI FA

“Dottore, soffro di amnesia”, dice il paziente. “Da quanto tempo?”, chiede interessato il medico. “Da quanto tempo cosa?” risponde lui.

Aldilà delle barzellette, quello della memoria resta un ambito per lo più sconosciuto e misterioso, ma ciò che appare chiaro è che ogni tanto ci capita di non ricordare come dovremmo un evento accaduto. Tanto che, a volte, due persone hanno dello stesso evento due ricordi completamente diversi. Come può accadere?

“Io sono la mia memoria”. Lo afferma in un saggio così intitolato Davide Schiffer, uno dei massimi esponenti della scuola di neurologia italiana. «È una funzione del sistema nervoso, nell’uomo ancora misteriosa e poco definibile». Esistono due memorie, secondo lo studioso:  quella di neurobiologi e neuroscienziati riguarda la sua base biologica in animali inferiori e viene discussa in termini di sinapsi, neuroni, geni e proteine e, poi, c’è quella classica – filosofica oppure clinica – e si riferisce alla capacità di immagazzinare e rievocare stimoli.

«La memoria, quindi, dovrebbe essere una funzione psichica: dico “dovrebbe” – precisa Schiffer – perché la memoria non è divisibile rispetto all’identità personale. Ed ecco perché sostengo che la mia memoria “sono io”». La memoria, spiega Schiffer: «ci inganna soprattutto quando la quantità di emotività legata a un ricordo è forte. Maggiori sono gli agganci emotivi del ricordo e maggiori possono essere le deformazioni che questo può subire». Incredibile, no? Sembra quasi un paradosso: più un fatto mi emoziona, più possibilità esistono che la mia mente lo storpi. Ogni stimolo viene integrato dal proprio vissuto. E questo processo è inevitabile.

Un fatto di grande impatto emotivo può condizionare la memoria illudendo una persona di essere stata presente anche dove non era. I grandi fatti di cronaca e le immagini viste alle televisione possono creare nella nostra memoria l’illusione di esser stati in un posto dove, in realtà,  non eravamo.

«Faccio un esempio personale. La tragedia del “Grande Torino” fu un evento terribile, continuamente rinforzato dalle toccanti immagini dei funerali. Di recente, a distanza di tanti anni, rivedendo le immagini della folla dietro ai feretri, non ho avuto alcun dubbio di essere stato presente. Ero sicuro: io c’ero e il funerale l’avevo visto. Ma poi, ripensandoci, mi ricordai che in quel periodo ero a Milano e che non era possibile che avessi partecipato. Quel fatto ebbe un tale impatto emotivo da assumere un “sentimento di realtà” che non aveva. Ecco perché le testimonianze dei bambini devono essere prese con molta circospezione quando si è in un tribunale» ha concluso Schiffer.