Sam Parnia, dottore esperto in resurrezione di malati in “morte clinica”

di Francesco Montorsi
Pubblicato il 25 Aprile 2013 - 07:30| Aggiornato il 13 Febbraio 2023 OLTRE 6 MESI FA

NEW YORK – Sam Parnia è lo specialista di una disciplina medica spettacolare: la «resurrezione». Nel suo ospedale si può essere riportati alla vita ore dopo quella che viene definita la «morte clinica». Formatosi in Inghilterra, Sam Parnia lavora a New York, allo Stony Brook University Hospital, dove è il capo del reparto di Terapia Intensiva. Se hai avuto un arresto cardiaco e sei stato internato in questo reparto, qui hai il 33% di possibilità di essere riportato alla vita. Negli altri ospedali americani il dato si abbassa drasticamente al 16%.

Lo specialista Parnia cerca di diffondere nell’ambiente medico le sue opinioni sui metodi di rianimazione più efficaci. Frustrato dall’incomprensione che lo circonda, ha scritto un libro, chiamato The Lazarus Effect, dove preconizza dei nuovi metodi di rianimazione e dove spiega le sue idee sulla morte. Una delle convinzioni più sorprendenti di Parnia riguarda la natura dei decessi. Secondo il primario, tutti coloro che muoiono per cause che sono reversibili possono essere, in principio, riportati alla vita, anche un’ora o più dopo la loro morte. Malattie legate a processi degenerativi – come l’arresto cardiaco o la polmonite – produrrebbero, dunque, uno stato di morte che può essere sconfitto dalla medicina.

Per facilitare la «resurrezione» si devono, secondo Parnia, implementare alcune tecniche che favoriscono la conservazione delle cellule, specie neuronali. La rianimazione cardiovascolare – quei gesti che tutti conoscono grazie alle serie americane ed ai film – è praticata nella maggior parte degli ospedali, spesso facendo ricorso ai medici più giovani e meno sperimentati. Questi praticano il massaggio cardiovascolare per la durata di soli venti minuti, convinti che al di là di questa soglia ogni tentativo sarebbe vano o che, se la rianimazione funzionasse, il paziente sopravvissuto presenterebbe lesioni permanenti.

Secondo Parnia, per aumentare le possibilità di «resurrezione», si deve aumentare il tempo dedicato alla rianimazione e implementare l’uso di macchine, già esistenti, che permettono di rallentare i processi degenerativi che si innescano nel secondo che segue l’ultimo respiro. Tra queste macchine si trovano l’ECMO (Ossigenazione Extracorporea a Membrana) una tecnica che permette l’ossigenazione del sangue, e pure tutti quegli strumenti che permettono di raffreddare la temperatura del corpo per preservarne le cellule. Parnia crede che questi metodi, relativamente economici ma efficaci, nei soli Stati Uniti potrebbero salvare fino a 40.000 vite all’anno.

Lo specialista americano non si è speso solo per concepire nuovi metodi di rianimazione. La sua esperienza con la morte lo ha portato anche a riflettere sul senso dell’essere e del non essere, sullo statuto dell’«io individuale» (l’anima, come dice senza timidità) e sulla sua origine. Le testimonianze che ha raccolto mostrano che molti pazienti riportati in vita abbiano «ricordi» degli attimi che seguono la loro morte. Questo porta il dottor Parnia a concludere che ci sono forti possibilità che la mente – o almeno la memoria – non sia il solo prodotto di un’attività neuronale.