Terremoto Emilia, le terre calde di Medolla ne svelano la geochimica

di Veronica Nicosia
Pubblicato il 9 Dicembre 2017 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA
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Terremoto Emilia, le terre calde di Medolla ne svelano la geochimica

MODENA – Cosa è cambiato nella crosta terrestre dopo i terremoti del 2012 in Emilia Romagna? Questa la domanda che gli scienziati dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e dell’Università di Ferrara hanno continuato a porsi, fino a trovare una risposta. Lo studio ha preso in considerazione la zona detta “terre calde di Medolla”, nota per la presenza di elevata temperatura, esalazioni di metano e assenza di vegetazione vicino Modena, e ha studiato le concentrazioni di gas nel suolo, identificando le variazioni geochimiche associate proprio all’attività sismica.

Il risultato dello studio guidato da Alessandra Sciarra, ricercatrice dell’Ingv, è stato pubblicato sulla rivista Scientific Report del gruppo NatureIl team guidato proprio dalla Sciarra ha iniziato i lavori nel 2012, dopo i terremoti del 20 e 29 maggio in Emiliae dopo tre anni di studio ha identificato e misurato per la prima volta un marcato incremento delle concentrazioni di metano, idrogeno molecolare e anidride carbonica nei suoli durante la sequenza sismica del 2012. Un incremento fino a tre ordini di grandezza rispetto ai valori pre-sisma. Sciarra ha commentato:

“L’incremento delle concentrazioni durante il terremoto e nei mesi successivi. E’ stato favorito dalla dilatazione crostale legata all’attività sismica che ha permesso la risalita di geogas verso la superficie. Le concentrazioni anomale di gas hanno evidenziato una faglia sepolta in direzione est-ovest che collega 3 zone con assenza di vegetazione ed emanazioni gassose, note come macroseeps”.

È infatti noto in letteratura che i terremoti e la conseguente deformazione crostale possano alterare le proprietà idrauliche dei suoli, come porosità e permeabilità, favorendo la migrazione di fluidi lungo vie preferenziali, a causa delle variazioni di pressione e temperatura, spiega ancora l’autrice dell’articolo:

“Lo studio della geochimica legata ai terremoti è complesso. Generalmente le misure geochimiche vengono effettuate solo dopo che un evento sismico si è verificato, precludendo così la possibilità di confrontare i dati pre e post evento. In questo lavoro, invece, le concentrazioni co-sismiche e post-sismiche sono state eccezionalmente confrontate con dati del 2008”.

La zona di studio, conosciuta con il nome di “Terre Calde di Medolla” è un’area agricola dove la presenza di elevate temperature dei suoli (fino a 48°C) ed emissioni naturali di metano è nota fin dal 1893. Nel 2008 era stato già condotto uno studio geochimico dei gas dei suoli proprio per caratterizzare la distribuzione e l’origine del metano. Dopo la sequenza sismica del 2012 si è ripetuto il monitoraggio per capire cosa era cambiato, ha detto la Sciarra:

“L’analisi degli isotopi del metano e della CO2 sui macroseeps, per risalire all’origine dei gas, ha evidenziato due distinte sorgenti, una profonda e termogenica, l’altra superficiale (microbica) dovuta all’alterazione della materia organica, il cui diverso contributo è variato nel tempo. In particolare con il terremoto vi è stato uno scuotimento degli strati più superficiali (Plio-Pleitocenici), che ha accresciuto il fenomeno naturale di emanazione di metano già esistente nella zona di Medolla, incrementando la migrazione dagli strati più superficiali”.

Il monitoraggio geochimico a lungo termine ha permesso di identificare un trend nella distribuzione temporale delle specie gassose. Infatti, dopo una variazione iniziale della distribuzione dei gas nel suolo, legata all’attività sismica, le concentrazioni dei gas nel 2015 stanno lentamente tornando ai valori pre-terremoto, molto probabilmente per una parziale chiusura delle vie di migrazione, dopo che la sovrapressione generata dal sisma si è ridotta, ha concluso la Sciarra:

“Da qui l’idea di avviare ulteriori indagini per correlare le misure geochimiche con indagini geoelettriche, per definire la geometria della faglia sepolta, e tecniche atte a misurare le deformazioni della superficie terrestre. I risultati ottenuti, potrebbero incoraggiare la ricerca sulla geochimica dei gas nel suolo sulle aree sismicamente attive, evidenziando inoltre l’importanza di avere un set di dati prima, durante e dopo i terremoti”.