TRIESTE – Discorsi. Raffinati forse no, ma certamente “complessi”. L’uomo di Neanderthal era in grado di articolare un linguaggio complesso. Lo indica l’analisi ai raggi X condotta nel Centro di ricerche Elettra Sincrotrone di Trieste sul reperto di un osso ioide, ossia l’osso che si trova alla base della lingua e che è cruciale per l’articolazione dei suoni. L’osso apparteneva a un uomo di Neanderthal, rinvenuto nel 1989 nel sito israeliano di Kebara.
Lo studio, frutto di una collaborazione internazionale fra italiani, australiani e canadesi, è stato pubblicato sulla rivista americana Plos One e illustra i risultati di un confronto fra le proprietà biomeccaniche di questo osso e quelle di analoghi reperti di Homo sapiens. Fra gli autori, il paleontologo Ruggero D’Anastasio, dell’Università di Chieti, e il fisico Claudio Tuniz, del Centro Internazionale di Fisica Teorica di Trieste.
Dalla ricerca è emerso che dal punto di vista della morfologia esterna, lo ioide dell’Homo Neanderthalensis e quello dell’uomo moderno non presentano sostanziali differenze, mentre hanno una forma diversa da quella di altri primati come lo scimpanzé. Ma questa osservazione non è sufficiente a poter dire che l’iomo vissuto tra 200 mila e 40 mila anni fa potesse parlare.
E’ stato decisivo analizzare la sua microstruttura interna, che si rimodella in risposta alle tensioni meccaniche a cui l’osso è sottoposto. Il reperto del Kebara, e altri campioni prelevati dall’Homo sapiens, sono stati analizzati con una risoluzione non raggiungibile con la Tac convenzionale ed i risultati hanno confermato che la microstruttura interna dello ioide dell’Uomo di Kebara è simile a quella degli uomini moderni “Anche se prevediamo di analizzare altri reperti per aumentare ancora la significatività dei dati – commenta D’Anastasio – ritengo che questo lavoro costituisca un passo decisivo a sostegno dell’ipotesi che vuole l’uomo di Neanderthal dotato di linguaggio”.
Per Tuniz “forse i Neanderthal potevano anche ballare e cantare al suono della musica, come suggeriscono i nostri studi recenti sul flauto ricavato dal femore di un orso, trovato in Slovenia in un sito che era frequentato dall’uomo di Neanderthal 60 millenni fa”. Il nuovo approccio metodologico multidisciplinare potrà essere applicato anche ad altri reperti umani fossili e archeologici.