Perugia, Amanda in lacrime parla alla famiglia di Meredith

Pubblicato il 11 Dicembre 2010 - 20:45| Aggiornato il 13 Dicembre 2010 OLTRE 6 MESI FA

”Alla famiglia di Meredith voglio dire che mi dispiace molto perché non c’è più”: Amanda Knox, con la voce rotta dal pianto, si è rivolta così ai congiunti della studentessa inglese prendendo stamani la parola per una dichiarazione spontanea davanti alla Corte d’Assise d’Appello di Perugia.

La studentessa di Seattle ha parlato a lungo in italiano. Quando ha fatto riferimento alla famiglia della vittima (che sta seguendo il processo dall’Inghilterra), l’avvocato Francesco Maresca, uno dei legali di parte civile, è  uscito dall’aula. ”Anche io ho delle sorelle più  piccole – ha sottolineato ancora la Knox – e solo l’idea della loro mancanza mi terrorizza. E’ inconcepibile quello che avete subito voi (i congiunti di Mez, ndr) e Meredith. Non è giusto. Anche io ricordo Meredith e il mio cuore è spezzato per tutti voi. Sono onorato di averla potuta conoscere”.

Nel corso della sua dichiarazione spontanea, la Knox ha fatto riferimento anche a Patrick Lumumba, coinvolto nell’inchiesta per le sue dichiarazioni ma poi riconosciuto estraneo ad ogni addebito. ”Dove sei?”, ha detto ancora commossa, cercando con lo sguardo il musicista congolese, oggi in aula.

”Mi dispiace – ha aggiunto la Knox – perché non volevo farti torto. Sono stata ingenua, dovevo sopportare le pressioni. Tu sai cosa vuol dire subire accuse ingiuste sulla tua pelle. Spero riuscirai a trovare pace”.

Parla di scuse ”assolutamente tardive, del tutto inopportune e prive di contenuto” il legale dei familiari di Meredith Kercher, l’avvocato Maresca: ”Arrivano – ha sottolineato il legale – dopo che negli ultimi giorni il padre di Mez, in una delle pochissime dichiarazioni, aveva specificato di non avere sentito nessuno che si ricordasse della figlia”. Per l’avvocato Maresca, le dichiarazioni della Knox sembrano ”finalizzate esclusivamente a questo processo d’appello”. ”Non voglio fare polemica – ha concluso – e per questo mi sono doverosamente allontanato dall’aula mentre venivano fatte”.

E’ intervenuto anche Patrick Lumumba, il cittadino congolese che all’inizio delle indagini era stato accusato da Amanda Knox per poi essere completamente scagionato. ‘Mi ha fatto umanamente pena, ma penso sia una strategia difensiva”. Il musicista ha spiegato di avere comunque ”perdonato” la giovane americana condannata anche per calunnia nei suoi confronti. ”So però che lei mi ha coinvolto – ha aggiunto – e al momento giusto non ha detto niente ai giudici. E’ rimasta in silenzio. Quando ero in carcere non più in isolamento mi scrisse una mia cara amica olandese che mi diceva: ‘Patrick, so che forse nemmeno ricevi questa lettera ma voglio che tu sappia la mia posizione adesso. Voglio tu sappia che io credo in te, in questo momento’. Se Amanda avesse detto questo subito, appena usciti dall’isolamento potevo anche crederle. Ora – ha concluso Lumumba – sta giocando qualsiasi carta che possa farle vincere il gioco”.

Si augura che ”venga riconfermata la condanna inflitta” in primo grado Anna Maria Artegiani, uno dei giudici popolari del processo di primo grado a Raffaele Sollecito e ad Amanda Knox . Lo ha detto in un’intervista mandata in onda dal Tgr dell’Umbria della Rai. ”La nostra – ha spiegato la Artegiani – è stata una giuria benevola che ha tenuto conto dell’età e del fatto che i ragazzi sono incensurati. Comunque 25 anni a questa età non sono pochi”. La donna ha quindi definito la Knox ”molto forte, decisa, sicura di sé”.

”Anche in udienza – ha aggiunto – quando doveva testimoniare ha rinunciato all’interprete. E in un Paese straniero difendersi da un’accusa di omicidio…”. Riguardo al processo di primo grado, la Artegiani ha definito un ”momento forte” quello in cui sono state proposte in aula, a porte chiuse, le immagini girate dalla polizia scientifica del ritrovamento del cadavere della Kercher. ”Siamo arrivati al verdetto – ha spiegato ancora il giudice popolare – dopo quasi 11 mesi di camera di consiglio perche’ anche durante le pause si discuteva. Siamo stati coinvolti – ha concluso la Artegiani – e sentiti uno ad uno”.