Bimbi dimenticati in auto, l’ultimo alibi: il codice stradale

di Lucio Fero
Pubblicato il 2 Giugno 2011 - 16:05 OLTRE 6 MESI FA

ROMA-Nella corsa, un po’ affannosa, a comprendere e nella rincorsa alquanto sbilenca a giustificare i papà che dimenticano i figli piccoli in macchina è apparso un ultimo alibi: colpa del codice stradale. Alibi effettivamente pragmatico, concretamente tecnologico, di razionalità sottile ma di tenue fibra di responsabilità.  Prima Elisa, poi Jacopo dimenticati in auto sotto il sole. E qualcuno dice e documenta succeda non solo in Italia e non solo ai papà, ma anche a madri e baby-sitter. E pare succeda sempre più spesso: 30 bambini vittime nei soli Usa, ed erano 10 l’anno prima. Ed ecco l’alibi offerto in confezione unica con la soluzione: tutto comincia o meglio si diffonde dal 1998. E che mai sarà successo nel 1998? Entra in vigore la legge che obbliga a porre il seggiolino nel sedile posteriore. L’alibi consiste nel fatto che il bimbo, il figlio, la figlia non sono più a fianco, non sono più sotto gli occhi. Siedono dietro, lontano dagli occhi…Quindi la soluzione: sensori inventati niente meno che dalla Nasa innestati sul portachiavi quando il bambino è poggiato e deposto sul seggiolino che sta sul sedile posteriore. Si attivano dopo un minuto dall’aver levato le chiavi dal cruscotto e suonano fino a che il bambino non è stato preso. Si chiamano Child Presence Sensor e, sostiene qualcuno, “basterebbe obbligare per legge le industrie a inserire il sensore nei seggiolini”.

Diamo per scontata ed evidente la buonissima fede e le ottime intenzioni di chi propone tali alibi-soluzione, resta la sgradevole sensazione che per pensarla così bisogna assumere come ineluttabile e ovvia, normale e inevitabile l’antica equazione: lontano dagli occhi, lontano dal cuore…Anche per il figlio, anche per il tuo bambino di pochi mesi? Sarà forse utile il supporto tecnologico, il sensore che ti chiama e ti avverte: ricordati di tuo figlio, una sorta di suoneria e sveglia automatica dell’istinto e del dovere genitoriale. Lo si metta questo sensore, male non farà. Però per sentirne il bisogno, per concepire questa come la soluzione bisogna prima aver supposto e accettato che istinto e dovere genitoriali possano dormire e andare in letargo, spegnersi come una pila dalle batterie limitate ed esauribili.

E qui non ci siamo, qualcosa, più di qualcosa suona storto e stridente. Come storte e stridenti sono le spiegazioni di psicologi e di articolisti di costume. Storto e stridente è confondere e mischiare l’attimo di disattenzione che può tragicamente capitare a chiunque: il bimbo che ti sfugge dalla mano, la portiera dell’auto incautamente aperta…Possono determinare una tragedia e in qesti casi il genitore è anche lui vittima e per nulla colpevole anche se si rimprovererà quell’attimo per tutta la vita. Ma attimo e minuto non sono ore e ore. Nella mente di ogni genitore il figlio piccolo appare più e più volte in un’ora. Negarlo è una incomprensibile bugia. Se quel pensiero non appare per ore e ore diventa difficile comprendere perché. Difficile e tutto sommato sbagliato tentar di comprendere ad ogni costo. Si confonde e si mescola la pietà che meritano i genitori che dimenticano, la umana pietà dovuta al loro inenarrabile dolore con la giustificazione assolutoria del comportamento, di ogni comportamento. Pierà e umanità impongono e reclamano il divieto per tutti di rimproverare, accusare quei genitori. Nessuno ha il diritto di ergersi a loro giudice. Ma il giustificazionismo degli altri, di psicologi e sociologi, articolisti e commentatori merita eccome rimprovero e anche qualcosa di più. Alla base del “può succedere a tutti” c’è una pedagogia sociale e pseudo scientifica che avalla e benedice come normale e plausibile condizione sociale la fuga dalla responsabilità. Non bisogna avercela, neanche un po’, con quei genitori che si sono inflitti l’oltraggio di aver dimenticato i figli bambini, ma con coloro che costruiscono il falso e in fondo crudele schermo della naturale o indotta propensione alla irresponsabilità bisogna avercela eccome. Sono medici pietosi che fanno la piaga purulenta, nel migliore dei casi. Sono improvvisati e pasticcioni indagatori della psiche, finti infermieri della coscienza che non si fermano di fronte alla indicibilità del concorrere, causare la morte di un figlio bambino cotto dal sole sul sedile dell’auto. Di fronte a questa enormità va provato insopprimibile brivido, provare a spiegare e comprendere è altezzosa alterigia mascherata, contrabbandata da solidarietà. E aggravata dallo spaccio di una moneta falsa: la frase “può succedere a tutti” è un’offesa inaccettabile all’istinto e al dovere della paternità e maternità. Una frase che deve far provare un brivido di ribellione e ripulsa, lo stesso sano brivido che ogni genitore ha provato pensando: e se succedesse a me?