Cassazione: vietato lanciare gli oggetti al capo ufficio

Pubblicato il 12 Agosto 2010 - 00:30 OLTRE 6 MESI FA

Anche se il capo a volte si è comportato male non per questo, in occasione di discussioni di lavoro, gli si possono lanciare contro gli oggetti che si trovano a portata di mano. Lo sottolinea la Cassazione avvertendo che un simile comportamento porta dritto al licenziamento, compreso il caso in cui il superiore non venga nemmeno colpito ed esca indenne dal lancio.

Senza successo, infatti, Massimo G.A., impiegato di un supermercato della catena ‘Lidl’ ha chiesto ai supremi giudici di essere reintegrato nel posto di lavoro perso dopo aver scagliato una confezione di succo di frutta alla dirigente del punto vendita. Non soddisfatto, le aveva pure intimato di tornare “a fare la casalinga”.

Con il capo, Massimo era in cattivi rapporti e sosteneva di essere stato costretto, in passato, a pulire i pavimenti ‘per punizione’ e per questo nel corso dell’ennesimo litigio – dopo essere stato rimproverato per essere un ritardatario e uno scansafatiche – aveva preso da uno scaffale il succo di frutto e lo aveva scagliato contro la donna. Nonostante il ‘tiro’ sia andato a vuoto la Cassazione – con la sentenza 18562 – ha confermato il licenziamento disciplinare convalidando la decisione emessa dalla Corte di Appello di Torino nel 2007.

Secondo i giudici di merito, quel lancio è stato un gesto “grave” giunto “al culmine di un insistito ‘botta e risposta’ durato un quarto d’ora durante il quale il lavoratore aveva continuato a dire al suo superiore che ‘doveva stare calma e buona’ e addirittura ‘andarsene a casa a fare la casalinga’”. Inoltre, dopo il lancio Massimo si era avvicinato “per rincarare la dose dicendole con atteggiamento minaccioso di stare attenta e andarsene via”.

Ad avviso dei giudici torinesi la circostanza che il ‘capo’ avesse avuto “pregressi comportamenti deprecabili” non poteva in “nessun modo giustificare la reazione del lavoratore” in quanto non aveva nessun “collegamento logico nè cronologico” con l’ultimo diverbio generato da un “legittimo” richiamo del ‘capo’ nei confronti del lavoratore che, nonostante fosse in ritardo, si era messo a chiacchierare con un collega senza iniziare a mettere a posto la merce negli scaffali.