Pompei: dalle ruspe alle mozzarelle. Il crollo e il marketing targato Protezione civile

Pubblicato il 8 Novembre 2010 - 10:10 OLTRE 6 MESI FA

Un disastro e un colpevole: la Protezione civile. Fulvio Bufi sul Corriere della Sera non ha dubbi e a sostegno della sua tesi intervista la professoressa Luciana Jacobelli, autrice di numerose pubblicazioni su Pompei e con un passato di docente alla Bicocca di Milano. Per il giornalista le colpe di quanto accaduto agli scavi è di una gestione miope in cui l’archeologia e la tutela del patrimonio sono state accantonate in nome del marketing. E la docente non sembra dargli torto, anzi: “Per fare quello scempio hanno usato pure i bobcat. Ma ci rendiamo conto? Le ruspe in un luogo dove secondo me si dovrebbe camminare senza scarpe, tanto è prezioso. Ma se invece che all’arte si pensa a organizzare spettacoli e a vendere biglietti, ecco dove si va a finire”.

Prima di tutto  Bufi snocciola le cifre: Pompei è un’area di 66 ettari e “alla Soprintendenza lavorano tre restauratori e meno di dieci archeologi. Forse è già in queste cifre la sintesi del disastro”. Già ai tempi della gestione della Sovrintendenza la situazione non era delle migliori ma con il passaggio alla Protezione civile la situazione di Pompei è peggiorata perché, secondo Bufi, si “è pensato esclusivamente al marketing”. Gli esempi non mancano, dai fondi utilizzati per le passeggiate in bicicletta fino alle “serate mozzarella” in cui si va agli scavi per “degustare prodotti tipici”. E ancora: “I percorsi nella Casa di Giulio Polibio da fare bendati, per percepire meglio l’atmosfera” e le visite guidate alle Terme Suburbane.  La professoressa Jacobelli fa da eco: “Ma almeno lo sapranno — si chiede — che c’è un progetto di messa in sicurezza delle Terme risalente all’epoca romana perché già allora stavano scivolando verso il mare?”.

Il risultato della gestione, però, è che il 90% delle opere è perso per sempre e quello che rimane del patrimonio è fortemente a rischio. La Jacobelli parla di tesori che “potrebbero avere la stessa sorte”. E lei, spiega il Corriere, è una  “che di Pompei conosce ogni angolo perché sono trent’anni che ci lavora come consulente, e partecipò, tra il 1987 e il 1990, anche al Progetto Neapolis, la mappatura di tutte le pitture e i pavimenti della città, un enorme lavoro di catalogazione rimasto come patrimonio di conoscenza ma non come punto di partenza per interventi mirati di manutenzione”.

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