Erbe che curano dalla preistoria. Quando al Nord videro le renne volare…

di Redazione Blitz
Pubblicato il 30 Gennaio 2019 - 11:16 OLTRE 6 MESI FA
Erbe che curano dalla preistoria. quando al Nord (Europa) videro le renne volare...

Erbe che curano dalla preistoria. quando al Nord videro le renne volare… (foto d’archivio Ansa)

ROMA – Se vedete delle renne volare, anche se il calendario segna dicembre, è perché, se non voi, qualche vostro lontano antenato aveva la passione per gli allucinogeni. A rendere un po’ meno fiabesca l’immagine della slitta di Babbo Natale è lo studio delle abitudini erboristiche-farmacologiche degli uomini primitivi e delle civiltà più antiche.

Dalle piante noi uomini moderni abbiamo imparato ad estrarre farmaci, dalle muffe gli antibiotici e da altre fonti naturali altrettanti rimedi per malanni vari. Intuizioni che già i nostri più lontani antenati avevano avuto comprendendo, per esperienza e non per esperimento, che la corteccia del salice fa bene in caso di febbre, che alcune piante aiutano la cicatrizzazione e che le muffe hanno proprietà benefiche. Come avevano intuito che altre piante ‘aprivano’ la mente, mettendo in contatto col divino e, perché no, facendo decollare le renne.

La storia antichissima che lega mondo naturale, intuizione umana e magia è oggi raccontata dalla mostra “Le piante e l’uomo” curata da Paolo Maria Guarrera e allestita presso il Museo delle Civiltà di Roma sino al 21 aprile 2019. Una mostra che esamina in maniera seria e scientifica le modalità con cui l’umanità ha scoperto e quindi sfruttato le proprietà di piante ed animali, come centrale in questo sia stato il ruolo della donna e come queste scoperte facciano sentire i loro effetti ancora oggi.

E tra gli effetti certamente più curiosi c’è quello che riguarda il nostro modernissimo Babbo Natale. Come è noto la tradizione di Santa Klaus ha origini nordiche, come animali del nord sono prettamente le renne. Renne che però solitamente non volano ma, in quelle zone, gli sciamani erano soliti assumere, durante la festività di Yule, coincidente col solstizio d’inverno (21 dicembre), urina di renna. Esatto, bevevano la pipì delle renne.

Questo perché quegli animali mangiano un fungo dalle proprietà psicotrope – l’Amanita muscaria – che per noi umani è velenoso ma, filtrato dall’apparato digerente del cervide, ne esce pulito dalla componente tossica. Così la pipì di renna era uno strumento per mettersi in contatto col divino. Fra le allucinazioni più frequenti durante questo rito vi era però quella in cui le renne cominciavano a volare, facilitata dal fatto che gli stessi quadrupedi, anche loro sotto l’effetto dell’Amanita, erano soliti darsi a galoppate e corse pazze senza senso apparente.

Oltre alle curiosità come quella delle renne volanti e del vischio, che crescendo sugli alberi morti veniva legato alla capacità di ridare vita e per questo, ancora oggi, lì sotto noi ci baciamo, tante anche le piante che da millenni ci aiutano. E’ il caso della Consolida Maggiore, come venne chiamata da Plinio il Vecchio. Pianta che ancora oggi viene usata dalla medicina popolare per le sue proprietà vulnerarie (guarisce le ferite) e la capacità di stimolare la formazione del callo osseo in caso di fratture. Sollievo e guarigione dati da una sostanza chiamata allantoina, usata anche dall’industria farmaceutica di oggi per gli stessi scopi.

E poi il Luppolo e le sue proprietà antidolorifiche ereditate dalla birra. Un elenco lunghissimo di sostanze che noi oggi acquistiamo spesso in farmacia ma che nascono in natura, un elenco in cui figura il vermifugo aglio e il rilassante papavero e soprattutto le muffe da cui, solo nella prima metà del ‘900 Fleming estrasse la penicillina. E ancora quello che è forse il più noto dei proto- farmaci: la corteccia del salice. Corteccia che è ricca di salicina, sostanza che svolge attività analgesiche, antinfiammatorie e antipiretiche tramite l’inibizione di un enzima responsabile dell’insorgenza di infiammazione, febbre e dolore. I nostri antenati, specie quelli dell’Europa centro-settentrionale dove le febbri e i salici sono più comuni, erano soliti mettere a macerare nell’aceto la scorza di questo albero ottenendo una sorta di aspirina ante litteram: l’acido acetil-salicilico.