Fatte e rifatte: le attrici e… Le auto

di Mauro Coppini
Pubblicato il 26 Gennaio 2011 - 20:32 OLTRE 6 MESI FA

Pamela Anderson, rifatta di successo

“Basta attrici con il seno rifatto”. E’ con questo annuncio che la Disney dichiara guerra agli interventi di chirurgia estetica. C’è chi vede in questa strategia la presa d’atto di una inversione di tendenza che è qualcosa di più di una sensazione. Nell’ultimo anno, infatti, il ricorso al silicone conosce una flessione lenta ma, apparentemente, inarrestabile.

Una manifestazione di buon senso e di buon gusto che sembra non toccare il mondo dell’auto. Che, sulle auto “siliconate” ha fondato una vera e propria strategia di marketing. “Fatte e rifatte” per stregare un consumatore pronto a farsi attrarre da forme che, per essere virtuali, sfuggono alla contaminazione del reale.

E d’altra parte se è vero come afferma il professor Giovanni Sartori che il 70% degli italiani è pressoché analfabeta o analfabeta di ritorno e quindi in difficoltà a comprendere testi anche elementari, ecco che l’unica possibilità di influenzarlo sta nella capacità di emozionarlo. E siccome l’emozione tende ad autosaturarsi nel tempo allora è necessario imboccare la strada della esagerazione a tutti i costi. Con il risultato che alla fine si perde ogni connessione con la realtà.

E se le ragazze copertina attraggono solo sui calendari, proprio grazie alla loro intangibilità anche le auto sono fatte per affascinare ma solo fino al momento in cui sono esposte in bella mostra all’interno dei saloni di vendita. Sottratte al quotidiano confronto con la realtà ed alle contaminazioni che ne derivano. Sconnessi e somari afferma Sartori descrivendo un consumatore assolutamente indisponibile all’approfondimento, dedito a quello zapping che non si esplica soltanto davanti allo schermo televisivo ma che diventa stile di vita e manuale di comportamento di fronte alla scelta.

Un atteggiamento al quale l’industria dell’auto risponde con la progressiva omologazione del prodotto. Se nulla fa più la differenza allora meglio annullare ogni differenza e trasformare il processo di acquisto in una opportunità statistica. E se la chirurgia estetica può eliminare a posteriori ogni handicap naturale, allora tanto vale disinteressarsi della qualità del nascituro. Ci sarà tempo per porre rimedio ad eventuali difettosità o, peggio ancora, ad uniformarsi al gusto di chi ci guarda prima ancora che al proprio desiderio. Allo stesso modo inutile occuparsi dei fondamentali dell’auto.

Fatte rifatte, abbiamo detto ed a ragion veduta. Perché ci troviamo di fronte al paradosso per il quale in un mercato che privilegia solo la novità le auto finiscono per essere tutte vecchie. Perché i tempi indotti dal marketing impediscono di fatto riprogettazioni radicali. E’ finito il tempo della forma bidimensionale, leggero lenzuolo a coprire la meccanica, sostituita da forme scolpite, capaci di interagire con la luce. Chiari e scuri che attraggono per poi respingere una volta esaurite tutte le possibili combinazioni. E’ il design dell’obsolescenza, quello che nasconde dentro di se il germe dell’insoddisfazione. Pronto a manifestarsi in tutta la sua aggressività per indurre l’utente a sostituire l’auto nuova con una ancora più nuova.

La Nissan Juke

Se l’emozione è l’unico modo di connettersi con il moderno consumatore ecco allora la Nissan Juke. Crossover, certo. Ma non basta. Perché questa tipologia di veicolo e talmente diffusa da non essere più di per se caratterizzante. Ma Crossover deve essere. E allora che sia esagerato. I passaruota si staccano progressivamente dalla fiancata della vettura. Se negli anni 50 la Mercedes, con la carrozzeria “ponton” li ha riassorbiti nella fiancata in funzione di un miglioramento della aerodinamica e dello spazio a disposizione dei passeggeri ecco che la casa giapponese si mette alla testa di una reazione che ci riporta agli anni 30. Certo poi lo spazio destinato ad alloggiare le ruote va riempito e poco importa se in questo modi si finisce per adottare cerchi da 18 con pneumatici “barra 45” che contraddicono la funzione del mezzo o peggio ne dichiarano la pura valenza formale.

E che dire delle berline trasformate in coupè. Poco importa se le “medie” così agghindate finiscono per avvicinarsi alla soglia dei cinque metri pur facendo fatica ad alloggiare cinque persone, più spesso si limitano a quattro, e con accessibilità che le rende adatte solo a quella clientela giovane che non se le può permettere. E poco importa se gli sbandierati obiettivi di riduzione dei consumi si scontrino e battano in ritirata a fronte di pesi in inarrestabile crescita, con le utilitarie ormai sopra la tonnellata e le medie che arrivano a pesare il doppio. E così in un mondo in cui l’obesità si avvia a diventare un crimine contro l’umanità nessuno prova vergogna a manifestare entusiasmo per auto gonfiate a furia di anabolizzanti.

Gonfie di muscoli che invece che manifestare forza tradiscono la fragilità che origina dalla mancanza di ispirazione genuina. Viva il silicone che fa le auto più grandi e più belle. Ma solo grazie a quelle protesi che come quelle utilizzate in chirurgia estetica, rimangono esterne alla forma. Complementi mai interiorizzati e sempre a rischio di rigetto. Privare dello scudo anteriore e posteriore una qualunque vettura. Rimane davvero poco e da quello che traspare della meccanica, è facile accorgersi di come il “silicone” sia indispensabile per conferire apparente per quanto provvisoria dignità a chi non ce l’ha.