“Abbiamo le granate”: accusati di terrorismo. Ma al processo il perito li scagiona: “Dissero melograne”

Pubblicato il 20 Gennaio 2011 - 19:44 OLTRE 6 MESI FA

Non parlavano di tonnellate di “granate”, cioè di bombe, ma di “melagrane”, ovvero di frutta, i due presunti terroristi della rete informatica europea di Al Qaida a giudizio dinanzi alla Corte d’assise di Bari. È quanto emerge dalle perizie disposte dai giudici del dibattimento dinanzi ai quali i due imputati detenuti – lo sceicco-imam Ayachi Bassam, sessantacinquenne siriano, e l’ingegnere francese Gendron Raphael Marcel Frederic, trentaseienne – sono a giudizio con l’accusa di terrorismo internazionale.

Dalle perizie emergerebbe anche che alcune delle 35 frasi interpretate dall’accusa come indicative di attività terroristiche sarebbero incomprensibili o addirittura mal tradotte. Tra queste vi è proprio quella relativa al presunto acquisto di bombe. In un’intercettazione ambientale i due imputati parlando di una tonnellata di “romlan”, una parola araba, del costo di 5 euro al chilo. Secondo l’accusa, la traduzione esatta è granata, quindi bomba. Secondo i periti della Corte d’assise e della difesa, quella parola si traduce melagrano: stavano quindi parlando dell’acquisto di frutta.

Il dato è emerso nel corso dell’udienza dibattimentale durante la quale sono stati ascoltati i periti nominati dalla Corte, incaricati di tradurre e trascrivere le intercettazioni ambientali (in arabo e francese) e il contenuto di sei pen-drive e di numerosi dvd (uno dal titolo Torture) trovati dalla Digos agli indagati e contenenti scene di addestramento militare, oltre al testamento ritenuto inedito di un kamikaze. Una cinquantina le conversazioni oggetto d’indagine nelle quali i due imputati, secondo il pm Francesca Romana Pirrelli, progettavano attentati terroristici in Francia e in Inghilterra.

Oltre al diverso significato da attribuire ad alcune intercettazioni, in udienza è sorto il giallo relativo all’esistenza di una nuova pen-drive. Nel corso dell’udienza, infatti, il presidente della Corte, Clelia Galantino, ha comunicato alle parti dell’esistenza di una nuova pen-drive inserita, forse per errore, nel fascicolo degli atti di un altro processo in corso a Bari sulla tratta di esseri umani, e che risulterebbe sequestrata a Gendron. Della pen drive nè accusa nè difesa conoscevano esistenza e contenuto.