Italiani ricchi, ma fino a quando?

di Paolo Forcellini
Pubblicato il 11 Marzo 2011 - 11:59 OLTRE 6 MESI FA

Gli italiani si stanno rapidamente impoverendo? Alcuni dati sulla ricchezza delle famiglie, pubblicati nei giorni scorsi sul “Bollettino” della Banca d’Italia relativo a gennaio, hanno destato commenti preoccupati. L’indebitamento delle famiglie risulta in crescita (più 5 per cento) e anche mediamente più costoso (prima ancora che la Bce abbia posto mano all’aumendo dei tassi d’interesse), mentre sono in flessione (meno 1,7 per cento, all’incirca il medesimo calo della raccolta obbligazionaria) i depositi sui conti correnti del settore privato.

Le associazioni dei consumatori hanno puntato l’indice accusatorio sul sistema bancario che starebbe facendo pagare ai clienti la politica di “finanziamenti spregiudicati” e i maggiori costi dovuti all’inefficienza delle aziende di credito. Ciò può valere per l’aumento dei tassi sui mutui e per i minori interessi riconosciuti sui conti correnti, ma per gli altri fenomeni si tratta evidentemente di un calo del risparmio accompagnato da consumi sostanzialmente stabili. Per questo le forze d’opposizione hanno commentato le notizie Bankitalia sostenendo che “confermano l’accelerazione della contrazione del risparmio netto delle famiglie italiane, conseguenza dell’elevata disoccupazione, dell’assenza di indennità di disoccupazione, dei tagli ai servizi pubblici, degli aumenti delle tariffe, degli effetti dell’inflazione sul potere d’acquisto” (Stefano Fassina, responsabile economico del Pd).

I due tipi di critiche, quella consumeristica e quella politica, contengono indubbiamente un pizzico di verità. Ma una valutazione dell’effettivo stato di benessere delle famiglie italiane, in atto e in prospettiva, esige che si tenga conto di un quadro ben più ampio di quello che possono offrire le piccole variazioni congiunturali di alcuni indicatori. Un primo dato di fatto ineludibile è la ricchezza netta delle famiglie che alla fine del 2009, ultimo dato disponibile, ammontava a 8.600 miliardi di euro, pari a circa 350 mila euro per nucleo. Sotto questo aspetto, nel confronto con gli altri maggiori paesi industrializzati, la posizione italiana è invidiabile. In rapporto al suo reddito disponibile la famiglia italiana media aveva nel 2008 (purtroppo i confronti internazionali sono possibili solo con qualche ritardo) una ricchezza netta 7,84 volte superiore. In altre parole il patrimonio era pari a quasi otto anni di reddito. In Gran Bretagna quel rapporto era pari a 7,68, in Francia a 7,52, in Giappone a 6,97, in Germania a 6,29 (dato 2007), negli Stati Uniti addirittura a 4,76.

Un altro dato conferma e precisa meglio la pole position nostrana (ma poi vedremo che vi sono anche sintomi negativi): tra il 2007 e oggi, cioè al termine di tre anni di profonda crisi, il patrimonio delle famiglie Usa è diminuito di 11 mila miliardi di dollari, cifra corrispondente all’incirca al loro reddito di un anno. Perdite meno rilevanti ma non irrilevanti le hanno subite anche francesi e britannici nel medesimo periodo: ripettivamente 352 e 270 milioni di euro. E le famiglie italiane? Sempre tra il 2007 e il 2010 hanno guadagnato, sia pur poco, in ricchezza: 88 milioni di euro.

Sembra il mondo alla rovescia, dove i ricchi per definizione cedono il passo agli straccioni anch’essi per definizione. Ma non è tutto oro quel che luccica. Innanzitutto perché se si va a guardare la composizione della ricchezza delle nostre famiglie si nota che è sostanzialmente diversa da quella degli altri maggiori paesi: solo in Francia la parte del patrimonio costituita da attività “reali” (leggi: immobiliari) supera di poco quella italiana (5,66 volte il reddito disponibile annuo contro 5,41), mentre per gli altri paesi considerati è largamente inferiore, fino ad arrivare al 2,21 degli Stati Uniti. Ora è noto che una delle caratteristiche principali della crisi di questi anni è stato lo scoppio della “bolla” immobiliare: in Italia, invece, vi è stata tutt’al più una limatura dei prezzi, i valori nominali sono rimasti fermi o leggermente in calo e la bassa inflazione ha moderatamente eroso quelli reali. Ma niente di paragonabile a quanto successo negli States.

Delle due l’una: o in Italia la bolla immobiliare non c’è mai stata, e quindi non poteva scoppiare, oppure l’esplosione o lo sgonfiamento progressivo ma sostanzioso debbono ancora arrivare. Se fosse buona la seconda ipotesi, allora il primato nella ricchezza delle famiglie italiane sarebbe assai effimero, destinato a venir meno in breve tempo. Ma per stabilirlo occorrerebbe un’analisi approfondita di qualità e quantità del patrimonio immobiliare e un confronto fra i diversi paesi che al momento adottano criteri di valutazione disomogenei. Lasciamo quindi aperto l’interrogativo, per la verità piuttosto inquietante.