P3: gruppo di Carboni si occupò della lista del Pdl esclusa nel Lazio

Pubblicato il 27 Luglio 2010 - 16:42 OLTRE 6 MESI FA

L’inchiesta sulla cosiddetta P3 si arricchisce di nuovi sviluppi. Il “gruppo” che secondo la magistratura faceva capo a Flavio Carboni, Arcangelo Martino e Pasquale Lombardi, si interessò anche dell’esclusione della lista del Pdl provinciale dalle elezioni regionali del Lazio. Questo emerge dall’ordinanza del tribunale del riesame con la quale i giudici hanno negato la scarcerazione a Carboni e Lombardi.

Nell’ordinanza scrivono i giudici, “Lombardi non manca di invitare l’onorevole Ignazio Abrignani, responsabile elettorale nazionale del Pdl, a seguire una via ‘parallela’ rispetto a quella istituzionale (ricorso presso il Consiglio di Stato avverso l’esclusione della lista Pdl Roma e Provincia dalle elezioni regionali) suggerendogli di rivolgersi ad Antonio Martone (ex avvocato generale della Cassazione) perchè è ‘molto amico’ e può risolvere il problema, ma della cosa questa volta il Lombardi segnala che è meglio non parlare al telefono”.

La P3, scrivono ancora i giudici, aveva specifici luoghi a disposizione ”dei sodali per la realizzazione di fini”, in particolare un Centro studi e l’ufficio romano di Flavio Carboni. Qui Carboni organizzava incontri ”con alti magistrati per verificarne la disponibilita’ ad accettare eventuali richieste di favori”.

”Nel Centro studi giuridici per l’integrazione europea ‘Diritti e Liberta” finanziato dal Carboni tramite complessi passaggi monetari per nascondere l’effettiva provenienza – si legge nelle 65 pagine dell’ordinanza – Lombardi riveste la carica di addetto alla segreteria e Martino (su Arcangelo Martino, il terzo indagato, il Riesame si e’ gia’ pronunciato confermandone la custodia in carcere) quella di responsabile dell’organizzazione”.

Per i giudici del riesame romano ”appare evidente che l’attivita’ del centro era diretta a creare occasione di incontro con alti magistrati per verificarne la disponibilita’ ad accettare eventuali richieste di favori da parte del Lombardi e del Martino, ma anche per giustificare i rapporti di questi, altrimenti improponibili interlocutori, con quei magistrati che tale disponibilita’ hanno chiaramente dato per quanto emerge dalle conversazioni intercettate e dalle indagini conseguenti”. Per i magistrati il Centro aveva soprattutto questa finalita’: ”dare un’apparente giustificazione ai rapporti che personaggi come il Lombardi e il Martino avevano con alti magistrati del tutto al di fuori di incontri di studi, atteso che tali incontri e comunicazioni avvenivano per chiedere ed offrire illeciti favori”.

Inoltre per i giudici ”pur in assenza di una qualunque competenza o incarico che minimamente la giustificasse, il gruppo ha portato avanti una metodica azione d’interferenza sull’esercizio delle funzioni di organi costituzionali e di amministrazioni pubbliche, venendo incredibilmente accettato come interlocutore accreditato”.

Gli interlocutori del gruppo che faceva capo a Flavio Carboni per i giudici ”non si sono limitati ad ascoltare le richieste degli indagati ma, in molte occasioni, memori dei favori ricevuti o promessi, spesso si sono attivati per soddisfare le richieste ovvero per decidere insieme ad essi i provvedimenti da assumere nelle rispettive alte funzioni pubbliche”.

Per i giudici ”appare stabile la fitta ed estesa rete di conoscenze sviluppata dagli indagati” e la conseguenza e’ che ”misure gradate, come gli arresti domiciliari, consentirebbero di fatto agli indagati di riprendere la loro attivita’ criminale, anche sotto il profilo della segretezza”. Secondo il Riesame ”gli indagati potrebbero agevolmente riprendere i contatti interrotti dagli arresti, utilizzando, magari con piu’ accortezza, telefoni cellulari e schede telefoniche intestate a terzi. Al piu’ gli indagati dal luogo degli arresti dovrebbero ricorrere all’azione di altri soggetti per incontri diretti con i vari interlocutori interessati, ricerca agevole emergendo dagli atti l’esistenza di numerosi soggetti che abitualmente affiancavano gli indagati o si sono prestati a fungere da prestanome per Carboni, anche in relazione a vicende ‘oscure”’.

Ecco che allora, secondo i giudici la misura della custodia in carcere deve essere mantenuta (”Va anche osservato che gli indagati non hanno mostrato alcun segno di resipiscenza e che gli stessi, nei loro interrogatori di garanzia, hanno scelto di mentire in modo eclatante, negando anche l’evidenza di fronte a specifiche contestazioni”), nonostante l’eta’ e le indicate condizioni di salute dei due indagati. ”Del resto – scrivono nell’ordinanza – l’eta’ e i problemi di salute non hanno minimamente impedito ai due indagati di attivarsi quotidianamente e di muoversi anche freneticamente per tutt’Italia al fine di realizzare il proprio programma criminoso. Quanto alle condizioni di salute emergono patologie per le quali risultano essere in corso accertamenti peritali al fine di verificare la compatibilita’ delle stesse con il regime carcerario”.