Protezione civile: forse è il caso di una commissione di inchiesta. Perché nessuno la vuole?

Pubblicato il 10 Maggio 2010 - 11:10 OLTRE 6 MESI FA

Lo scandalo della Protezione civile sta prendendo  delle dimensioni politiche che vanno ben oltre gli aspetti giudiziari. Ora il dittatore plenipotenziario della Protezione civile penserebbe a dimettersi, secondo una indiscrezione del quotidiano Il Giornale, di cui è proprietario Paolo Berlusconi, fratello di Silvio.

Naturalmente Bertolaso non pensa a dimettersi per decenza. Ha una visione di sé che non conosce limiti né confini, parla di sé come non parlavano Garibaldi, il re, Mussolini e nemmeno Berlusconi o Mourinho. Così fa dire che si dimetterà perché amareggiato dalle critiche dei giornali. Se non voleva critiche, doveva scegliere una più serena carriera come commesso, lontano dal contatto col pubblico, in un angolo delle poste.

Le notizie escono una alla volta, con un ben calcolato effetto sui giornali, e a volte non si capisce se le indiscrezioni sono frutto dell’inchiesta o servono per aiutarla.

Ma la sostanza rimane e fa paura. Sta prendendo corpo una rete di rapporti tra politici, funzionari pubblici e appaltatori che probabilmente nessun tribunale potrà mettere a fuoco, perché compito della Giustizia è accertare le specifiche responsabilità di fronte a precise norme di legge.

Qui si deve andare oltre ed è molto più difficile, perché si va a toccare il cuore del funzionamento dell’appartato pubblico, si vanno a toccare le radici del cattivo funzionamento dell’amministrazione dello Stato italiano.

Tutti sono molto bravi nel dire che nulla va bene, che è tutto da rifare, anzi da rifondare. Nessuno però ha interesse e voglia di fare qualcosa di concreto, forse perché le incrostazioni e gli intrecci degli interessi sono talmente multi partizan che avviluppano tutto e tutti, con un letale profumo di anemone che avvelena l’aria non solo della politica ma di tutta l’Italia.

Ieri è saltato fuori, nell’inchiesta che lega lo scandalo della Protezione civile alla incomprensibile (se al fine di loschi affari)  gestione dei “grandi eventi”, il nome del ministro della cultura Sandro Bondi. Non è ben chiaro se fu lui a proporre o solo approvare la nomina di un ingegnere siciliano con passato da parrucchiere a direttore dei restauri della Galleria degli Uffizi a Firenze, la cui competenza rispetto all’incarico provocò, si legge nelle intercettazioni, l’incredulità persino da gente della “cricca”.

Con tutta l’antipatia che genera Bondi in molti ambienti, per i suoi atteggiamenti sicofantici nei confronti del suo Capo Berlusconi, se si legge bene si può anche credere alla sua estraneità operativa. I ministri contano poco nella gestione spicciola dei loro ministeri: contano nella scelta dei funzionari, direttori generali e capi di gabinetto, ai quali è demandata la gestione, ma hanno tante altre cose da fare, di rappresentanza e di attività politica, che non sempre sono in grado di controllare non solo l’operatività spicciola. ma persino l’indirizzo complessivo dei loro ministeri.

Se per vischiosità e residui del passato certe posizioni importanti sono affidate a funzionari di precedente nomina e diverso orientamento e lealtà, può succedere anche il contrario di quello che i ministri vorrebbero. Prendiamo il ministero delle finanze, dove si sono alternati negli ultimi anni un liberale, Giulio Tremonti, e un comunista, Vincenzo Visco. Nel suo precedente passaggio al governo, Tremonti varò norme decisamente ostili alle imprese, mente Visco, il cui odio verso il denaro altrui è documentato dalle sue dichiarazioni, è stato l’unico, nella storia della repubblica, nella sua prima esperienza ministeriale, a ridurre l’aliquota marginale, e di ben quattro punti, regalando ai redditi più alti milioni e milioni di lire dell’epoca; ed è stato anche il padre dell’Irap, cioè della tassa che puinisce chi assume gente, cioè una tassa contro il lavoro e l’occupazione. Colpa di Visco, colpa di Tremonti? Certamente no: non avevano ancora fatto in tempo a cambiare i funzionari preposti e probabilmente non avevano avuto il tempo di leggere bene quel che gli facevano firmare.

Se uno pensa al caos della vita di un ministro, non può raffrontarlo alla vita precisa di un commercialista o di un notaio. Il ministro delega a uno stuolo di funzionari e deve per forza fidarsi.

Se diamo credito a Bondi, però, dobbiamo essere ancor più spaventati. La vicenda degli Uffizi aggiunge un allarmante tassello al quadro che già si delineava dopo i primi articoli di giornale sulla vicenda di Bertolaso, Balducci, Anemone & C.

Se Bondi è fuori, il faro su chi abbia proposto e comunque valutato e formalizzato la nomina di Riccardo Micciché per il restauro della più importante, prestigiosa, rinomata nel mondo quadreria italiana si sposta sul suo capo di gabinetto, salvo nastasi, puntualmente e amichevolvente citato nelle intercettazioni pubblicate domenica.

Il quadro che ce ne facciamo  è quello di una rete di funzionari pubblici, appartenenti per lo più alla casta del consiglieri di Stato, che rappresentano il potere reale in Italia. I governi passano, i politici muoiono o decadono, ma i consiglieri di Stato restano sempre lì, scambiandosi gli incarichi, passando da destra a sinistra senza remore, finendo poi per occupare anche posizioni di grande prestigio grazie all’alone di supr partes che li circonda, mentre intanto integrano la retribuzione non modesta con i lauti proventi degli arbitrati, spesso superando il milione di euro di lecitissimi redditi, tanvolta chiedendo aiuto o favori, da un lavoro per un parente a uno scrocco di un albergo per un ponte, a gente come Diego Anemone.

L’inchiesta sugli appalti per il G8 in Sardegna e sulle malefatte dei vertici della Protezione civile ha sollevato un angolo del velo.

Perché i politici, che sono sempre pronti a parlare di commissioni di inchiesta come vedono nei telefilm americani, perché n on ne propongono una sul funzion amento della pubblica amministrazione? Per carità, non sulla summa delle regole dello Stato. Basterebbe sullo specifico della Protezione civile e sugli intrecci di interessi tra i presunti servitori dello Stato, anche per capire se per Stato intendono proprio quello che intendiamo noi, quello del tricolore, dei nostri parenti morti in guerra, delle tasse che paghiamo. Oppure il loro personale e privato: lo stato di lor signori e dei loro interessi.

Nesuno però ne parla, nessuno sembra interessato a fare chiarezza e pulizia. Gli appalti e le concessioni sono molto multipartizan, tutti hanno parenti, anche la Confindustria, una volta molto attiva nelle critiche al governo, sembra appagata e c’è da sperare che non ci sia connession e tra la distrazione dell’organo di rappresentanza degli imprenditori italiani e la concessione, a prezzi di favore rispetto all’investimento fatto con i nostri soldi, data da Bertolaso alla presidentessa Emma Marcegaglia, di un complesso alla Maddalena, per cui alcuni sono finiti in galera.