Siciliano tra i banchi: il dialetto sbarca a scuola. La proposta approvata dall’Ars

Pubblicato il 7 Aprile 2011 - 11:29 OLTRE 6 MESI FA

ROMA – A Palermo l’ultima trovata per arricchire la scuola è quella di aggiungere il dialetto: il siciliano arriva tra i banchi, insieme a italiano, latino e matematica.

Il disegno di legge è stato approvato all’unanimità dall’assemblea regionale siciliana e fra poco potrebbe essere realtà. La proposta firmata in primis da Nicola D’Agostino, dell’Mpa prevede due ore a settimana per la  “la valorizzazione e l’insegnamento della storia, della letteratura e della lingua siciliane nelle scuole di ogni ordine e grado”.

Non è d’accordo lo scrittore Vincenzo Consolo che a Repubblica dice: “Ormai siamo alla stupidità. Una bella regressione sulla scia dei “lumbard”. Che senso hanno i regionalismi e i localismi in un quadro politico e sociale già abbastanza sfilacciato? Abbiamo una grande lingua, l’italiano, che tra l’altro è nata in Sicilia: perché avvizzirci sui dialetti? Io sono per la lingua italiana, quella che ci hanno insegnato i nostri grandi scrittori, e tutto ciò che tende a sminuirla mi preoccupa”.

Più cauto nei commenti Andrea Camilleri: “Se rimane entro certi limiti e non asseconda istinti leghisti, va bene. Per essere chiari, sarebbe deleterio legiferare l’obbligatorietà del dialetto. Abbiamo una lingua, l’italiano, che al 90 per cento è stata l’artefice dell’unificazione del Paese, e dobbiamo salvaguardarla. I dialetti sono una grande risorsa per la lingua madre e tali devono restare. Esistono solo perché c’è un idioma condiviso da tutti. Ad esempio, invece di saccheggiare le lingue straniere, basti vedere l’abuso di anglismi oggigiorno, potremmo attingere ai nostri dialetti per innervare l’italiano e per salvare la nostra memoria. Ed è quello che io faccio nei miei romanzi”.

E’ d’accordo invece Enzo Sellerio: “Mi sembra una cosa giusta. Il dialetto e l’approfondimento della nostra storia sono un argine al dissolvimento della memoria. Abbiamo bisogno di tramandare quel che siamo stati e siamo. A patto però di non dimenticare che la Sicilia è parte di un contesto più ampio e, soprattutto, che questo insegnamento non sia a scapito della lingua e della storia d’Italia”.