Vent’anni da trans a Milano: dalla strada all’impegno sociale

Pubblicato il 4 Gennaio 2011 - 07:00 OLTRE 6 MESI FA

Un poliziotto condannato a sette anni di carcere per aver violentato, nel 2009, una transessuale detenuta nel Centro d’identificazione ed espulsione (Cie) di via Corelli a Milano. La sentenza emessa a dicembre dello scorso anno fa da apripista, ancora una volta, al dibattito sulla transfobia nel nostro paese. L’agente Mauro Tavelli avrebbe promesso alla trans la libertà, in cambio di un rapporto orale. Con la sua condanna – per violenza sessuale, concussione, atti osceni e favoreggiamento della prostituzione e dell’immigrazione clandestina – ritorna alla memoria un altro recente episodio avvenuto nella struttura di accoglienza per immigrati clandestini: quello che ha visto protagonista l’ispettore Vittorio Addesso, rinviato a giudizio a settembre 2010, con l’accusa di aver abusato di una ventottenne nigeriana. Trasferita dal Cie meneghino a quello di Modena, la trans ha poi tentato di togliersi la vita.

Accanto a questi fatti, che per la loro risonanza ottengono di diritto uno spazio mediatico rilevante, esistono anche le battaglie quotidiane e personali dei transessuali, come racconta Antonia Monopoli, responsabile dello Sportello Trans dell’Associazione Nazionale Lotta all’Aids (ALA) Milano Onlus. «Sono arrivata a Milano dalla provincia di Bari: dieci anni sulla strada e poi, nel 2002, ho avuto l’occasione di reinventarmi dal punto di vista professionale». Antonia è passata dall’esperienza della prostituzione a quella del reinserimento nel mondo del lavoro. «Ci sono due realtà – sottolinea – che riguardano il mondo transessuale, ma i media troppo spesso si concentrano soltanto sulla prima, sui giri di prostituzione, come è accaduto a seguito dell’uccisione di Brenda e di tutto il “caso Marrazzo”, che giornali e televisione hanno eccessivamente strumentalizzato». Se il governo ha sposato la causa della campagna contro l’omofobia, «nonostante le promesse del ministro Carfagna, il mondo transessuale sta ancora attendendo un passo che vada nella direzione di una legge contro la transfobia, seppure Vladimir Luxuria abbia tentato di gettarne le basi durante la sua attività parlamentare».

A livello internazionale, in un anno sono state registrate trenta morti per uccisione violenta fra i transgender: è questo il dato diffuso a novembre 2010, in occasione della giornata annuale per la memoria delle vittime della transfobia. Ma si parla soltanto delle aggressioni denunciate: tutto il resto rimane sommerso. «In Italia non si parla di vera e propria persecuzione delle persone transessuali – conclude Antonia Monopoli – ma una volta che chi ha cambiato il proprio sesso decide di svelarsi in qualche modo al mondo circostante, oltre che seguire specifici protocolli medici, deve anche intraprendere un lungo percorso personale per realizzarsi nella società in quanto transessuale».

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