Carandini (Beni Culturali) denuncia: “Abbiamo ingannato i giovani”

Pubblicato il 24 Gennaio 2011 - 10:41 OLTRE 6 MESI FA

Andrea Carandini

Un appassionato atto di autoaccusa nei confronti della classe dirigente, cui appartiene per nascita e per ruolo, è stato pronunciato dall’archeologo Andrea Carandini, uno dei più importanti studiosi italiani e presidente del Consiglio superiore dei Beni culturali: “Abbiamo ingannato i giovani, dando loro vino sempre più annacquato, conservato in bottiglie con l’alloro sull’etichetta: ma il simbolo più non illude”.

Scrive: “Oggi, dopo generazioni di egualitarismo, che ha pericolosamente ravvicinato l’asino al sapiente, la qualità culturale si è straordinariamente abbassata, anche se il bisogno di cultura si è invece esteso”.

Sembra un autodafé: “Un certo egualitarismo inintelligente, diffuso tra noi, ha frenato gli spontanei e liberi processi di differenziazione culturale, il bisogno di elevazione umana. Così le opere della libertà, che sono necessariamente diseguali, rischiano di essere svalutate, dissipate, mutilate. Allora le qualità umane da eccellenti diventano mediocri e — peggio — si diffonde un amore sconsiderato per la mediocrità: come è bello essere ignoranti, protervi, urlatori, volgari!” .

Chiaro il riferimento al mondo universitario: “Il merito nella ricerca era il solo metro di giudizio per l’avanzamento negli studi. Libri, archivi, antichità, belle arti, monumenti e paesaggi costituivano il serbatoio nazionale della memoria su cui si edificavano persone e personalità, che ora si plasmano invece su insistenti pubblicità e consumi sempre più inattraenti”.

Un urlo di dolore: “Cosa abbiamo fatto!  Che tristezza!”

Quello di Carandini è lo sfogo di un intellettuale aristocratico,  in parte ingiusto nei confronti delle nuove fasce di ex proletariato e sotto proletariato cui la democrazia ha dato pari dignità e diritto di voto rispetto alle vecchie classi dominanti e che certo trovano più sollazzo a guardare il Grande fratello di Canale 5 che a leggere le malefatte del Grande fratello nel 1984 di George Orwell, non in alternativa alla lettura dei classici ma a una vita schiantata dalla fatica, dalla miseria e dal vino.

Ma dice delle cose verissime e giustissime quando mette tra le responsabilità dell’establishment, che ha portato l’Italia dal terzo mondo al benessere negli ultimi sessant’anni, anche lo sfascio del sistema educativo, accelerato negli ultimi vent’anni, col risultato che, per consentire a tutte le classi di raggiungere un livello di istruzione prima negato, invece di mantenere standard formativi che facessero culturalmente crescere i meno attrezzati sono stati inesorabilmente abbassato i valori. Il risultato è che “chi può corre a formarsi e a lavorare altrove”.

La conclusione è angosciante quanto il suo obiettivo ormai impossibile: “È straordinariamente urgente un riscatto culturale, scientifico e storico, dell’Italia, pena una decadenza senza fine di fronte a un globo che, al contrario, avanza”.

Carandini lancia il suo appello dalla prima pagina del Corriere della Sera, giornale di cui suo nonno, un secolo fa, era direttore. Carandini appartiene a una famiglia che è certamente parte, ieri come oggi, dell’Italia migliore: suo nonno, Luigi Albertini, lasciò la direzione del Corriere, nel 1925, per non piegarsi al  fascismo e impiegò i soldi della liquidazione non in bunga bunga ma in una tenuta agricola a Torrimpietra, alle porte di Roma, che fu trasformata, dal figlio Leonardo e dal genero, Nicolò,padre di Andrea, in una azienda ancor oggi modello. Nicolò Carandini entrò nelle file dell’antifascismo clandestino, fu il primo ambasciatore italiano a Londra dopo la guerra e fu tra i fondatori del Partito radicale.