Cesare Lanza: ciascuno è poeta. A sua insaputa

di Cesare Lanza
Pubblicato il 3 Aprile 2014 - 07:53 OLTRE 6 MESI FA
Cesare Lanza: ciascuno è poeta. A sua insaputa

Claudio Scajola

ROMA – “Sento la vita vivermi” (Emilia Ceci, 2 aprile 2014) Il verso che pubblico qui sopra mi è arrivato da una mia amica, solo – conoscendola psicologicamente – parzialmente inatteso. Ma l’ho trovato tanto attraente (ho pensato a “Mi illumino d’immenso”, a Quasimodo, a Ungaretti) da sentirmi indotto a chiederle se fosse una citazione, oppure un verso proprio suo. Mi ha risposto di sì. E ho deciso di pubblicarlo. Per tre ragioni…

La prima, illumina la giornata anche a un pessimista globale come me. La seconda, perchè adoro la poesia. La terza – probabilmente vi stupirò – perchè desidero trasmettervi una mia temeraria convinzione. Tutti, penso, hanno la capacità di scrivere un libro: quello della propria vita. Ed è un consiglio – perchè l’esercitazione è anche terapeutica, invita a guardarsi dentro – che rivolgo a tutti, in particolare ai giovani con idee ancora confuse… immature.

Consiglio anche di guardarsi dentro, di scavare, senza paura; non come un chirurgo, che taglia e interviene per ottenere un risultato; come un’anima in pena, alla ricerca di se stessa, dei misteri che ogni anima porta con sé. Di più. Sono convinto che chiunque, a sua insaputa (più di Scajola per il famoso acquisto della casa con vista sul Colosseo) sia un poeta. Inconsapevolmente, ripeto. E possiamo fare una prova, vi darò una dimostrazione della vostra potenzialità poetica. Inviatemi una lettera di almeno venti righe: su qualsiasi argomento.

Sono certo che, all’interno di quelle righe, che probabilmente vi sembreranno banali, convenzionali, si nasconda una perlina, in qualche caso una gemma, di inconsapevole poesia: due, tre parole estraibili dal testo. Il caso di Emilia è diverso. Sa che ho tendenza alla depressione, il suo è un pensiero personale di uno stato felice che sta vivendo. Ha scritto, col desiderio, presumo, di trasmettere qualcosa. E ci è riuscita. Posso anche dire, col mio pessimismo, che probabilmente è un’occasione fuggevole, un attimo fuggente – secondo la mia filosofia di vita.

Oggi Emilia è una donna felice. In un anno, ha ottenuto tre risultati importanti. Ha vinto una causa, affermando i suoi diritti. Voleva fare un bambino, e lo ha fatto. Desiderava un altro lavoro, e lo ha trovato. Le auguro ovviamente di evitare le trappole che il destino, governato dal caso o da chissachi o chissacosa, semina con impertinenza e malvagità sulla nostra strada. La invito a trovare dentro di sé altra poesia. In realtà, sono convinto che la poesia – la poesia, stabile, di quelli che riescono a ispirarsi e a trasmettere emozioni e incantesimi su cui riflettere – nasca dalla sofferenza. Solo nel dolore (che non auguro a nessuno, sia chiaro!) si capisce un po’ della vita e almeno qualcosa di se stessi. Ho un’amica, Fioretta Jori, una poetessa colta e letterata, amica di grandi poeti e scrittori, che scrive parole bellissime. Ma è incompiuta.

Per scherzo (scherzo solo in apparenza) le dico ogni tanto: “Sei ricca, sei bella: fai una vita troppo comoda e morbida, per scrivere poesia. C’è l’ispirazione, ma non c’è profondità. Dovresti essere brutta, sporca, cenciosa, affamata, non dico malata, questo non si può dire…per riuscire a vedere, non solo a guardare”. Lei sorride, mi dà un bacio, mi perdona: pensa certamente che io sia un po’ strambo. Sono certo che simpatizzerete tutti per lei. Ma questo che diario sarebbe, se non fosse un diario sincero?