Educare i figli: punizioni non funzionano, carezze nemmeno. Come fare?

di redazione Blitz
Pubblicato il 27 Aprile 2018 - 06:28| Aggiornato il 28 Aprile 2018 OLTRE 6 MESI FA
Educare i figli: punizioni non funzionano, carezze nemmeno. Come fare?

Educare i figli: punizioni non funzionano, carezze nemmeno. Come fare?

NEW YORK – Punire i figli o abbracciarli quando sbagliano? Il tema è delicato, è roba da funamboli dell’educazione. La giornalista americana Katherine Reynolds Lewis ha lavorato 5 anni in studi e ricerche prima di scrivere il suo nuovo libro, “The Good News About Bad Behavior: Why Kids Are Less Disciplined Than Ever—and What to Do About It”, su come educare i figli che si comportano male.

Un numero sempre crescente di prove scientifiche, indicano che le critiche dei genitori ai figli, possono causare malattie mentali latenti e rendere più difficile alle persone recuperare dopo un periodo di depressione, schizofrenia e altre devastanti malattie mentali. Per i genitori alle prese su come disciplinare figli difficili, le implicazioni sono profonde e talvolta molto frustranti.

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La prima testimonianza che collega la critica dei genitori alla malattia mentale è venuta alla luce alla fine degli anni ’50 nel distretto londinese di Camberwell. Il sociologo George Brown era incuriosito dal fatto che i pazienti malati di schizofrenia, dimessi dopo un lungo ricovero, raramente riuscivano a reinserirsi nella società. Con sorpresa, notò che i pazienti che tornavano a vivere con un coniuge o un genitore se la passavano peggio di quelli che abitavano con estranei.

Avevano più probabilità di iniziare a sentire di nuovo le voci, di provare delusioni o agire in modo aggressivo. Incuriosito, Brown si era proposto di studiare il ruolo delle relazioni familiari nel recupero dalla schizofrenia. Mentre i suoi ricercatori intervistavano più pazienti e famiglie, iniziò a emergere uno schema. I pazienti che vivevano con un genitore o un coniuge critico, ostile o eccessivamente coinvolto stavano male. Chi, invece, viveva con una famiglia più solidale o in una pensione, stava meglio.

Cosa deve fare, dunque, un genitore? Sculacciare è escluso, sulla base di una quantità di prove che collegano la punizione corporale ai bambini a comportamenti aggressivi, abusivi e perfino comportamenti criminali negli adulti.

Non si dovrebbe neppure sgridare un figlio. Una pesante punizione verbale (urlare, bestemmiare, umiliare un bambino) è associata a un elevato rischio di depressione, aggressività e abuso di sostanze stupefacenti, aumentando la probabilità di abuso di alcol da parte di un bambino, ad esempio, di oltre dieci volte. Anche i castighi possono essere un problema.

Si deve allora trattare il “piccolo mostro” come un fragile fiocco di neve? Non esattamente. La critica dei genitori è sia inevitabile che necessaria: è fondamentale per aiutare un bambino a imparare a muoversi nel mondo. L’aspetto delicato è che le critiche possono essere problematiche per i bambini il cui comportamento sembra giustificarle di più.

Sono condizioni comuni: in un sondaggio condotto nel 2016 dall’Istituto Nazionale di Salute Mentale, quasi il 13% degli adolescenti ha riferito di aver avuto, nel corso dell’anno, almeno un episodio depressivo maggiore. Uno studio precedente su più di 10.000 bambini americani ha scoperto che la metà aveva sviluppato una sorta di disturbo dell’umore, disturbo comportamentale o una dipendenza dall’età di 18 anni. Puntando semplicemente sulle probabilità, per un genitore sarebbe saggio moderare la disapprovazione.

La salvezza, per i genitori che vogliono crescere i bambini con dei limiti, aspirano a essere protettori dei figli e non chi li vizia, può essere nella scienza più recente. Condizioni come depressione, ansia e disturbo da deficit di attenzione derivano dall’incapacità di gestire correttamente i pensieri, le emozioni e il comportamento. Sono abilità apprese e il modo in cui i bambini imparano ad autoregolarsi, secondo recenti studi, è attraverso la connessione, l’empatia, il contatto fisico o semplicemente essere vicini ai genitori. È qui che gli adulti devono essere più intelligenti riguardo alla disciplina.

In un memorabile esperimento del 2012, i ricercatori del laboratorio della Università di Pittsburgh guidati dal neuroscienziato Greg Siegle, esaminavano i cambiamenti nel cervello dei bambini cui era stato diagnosticato un disturbo d’ansia. Alcuni bambini, che avevano circa 10 anni, volevano che le mamme fossero accanto a loro mentre erano nello scanner e ciò è generalmente permesso. Ma uno dei ricercatori era preoccupato che la presenza potesse influenzare i risultati.

I bambini ansiosi posti nello scanner da soli hanno mostrato un’attività intensificata nelle parti del cervello che integrano le reazioni emotive e fisiologiche alla paura e allo stress. Ma quando la mamma era vicina, di quell’attività non c’era traccia: il cervello dei bambini ansiosi sembrava uguale a quello dei bambini non ansiosi. “Quando accanto a noi c’è un’altra persona, soprattutto se ci tocchiamo, sembra incidere molto a regolare la reattività emotiva”, aveva spiegato Siegle.

Secondo il neuroscienziato, un adulto stabilendo una connessione con un bambino in un momento di stress o conflitto, può effettivamente stimolare lo sviluppo in quelle parti del cervello del piccolo, che controllano la regolazione emotiva. Si potrebbe intervenire con un abbraccio amorevole o una stretta di mano gentile. Con un adolescente pronto a protestare, la cosa più semplice  (o impegnativa)  potrebbe essere quella di mantenere la calma, rifiutare lo scontro ed esprimere empatia, mentre con delicatezza ma con fermezza si dovranno imporre delle regole familiari su computer e orario di rientro a casa. Non è possibile avere il controllo sulla reazione di un figlio, ma se non altro si può controllare il proprio comportamento.