Farmacisti: anche quelli cattolici non possono obbedire al Papa senza violare il patto con lo Stato

Pubblicato il 14 Settembre 2009 - 13:44| Aggiornato il 13 Ottobre 2010 OLTRE 6 MESI FA

Il Papa ha parlato chiaro: i farmacisti cattolici non devono vendere farmaci che impediscono la procreazione o che interrompono agonie anche irreversibili. Il Papa fa il suo mestiere, ma cosa accadrebbe in concreto se i farmacisti cattolici obbedissero alla sua stringente indicazione? Accadrebbe che i farmacisti non farebbero più il loro mestiere, mestiere per esercitare il quale hanno fatto un patto con lo Stato. Un patto, questo nessuno lo dice, che prevede una “esclusiva”, anzi due.

La prima “esclusiva”, voluta e difesa da tutti i farmacisti, cattolici e non, prevede che loro e solo loro possano vendere i farmaci. Occorre avere non solo una laurea, una licenza commerciale ma anche far parte di Ordine professionale che lo Stato riconosce e tutela. La prima esclusiva esclude quindi dal mercato e dal servizio di vendita dei medicinali chiunque non sia farmacista. La seconda “esclusiva”, ovvia e conseguente è che il farmacista, riconosciuto, protetto e tutelato dalla legge di Stato, i farmaci li vende. Non come privato cittadino ma come membro di  Ordine professionale cui lo Stato ha delegato il pubblico servizio della vendita dei farmaci.E’ escluso che possa rifiutarsi di farlo, a meno che non rinunci alle tutele e ai privilegi che gli vengono dalla delega in esclusiva.

Se un farmacista cattolico in nome della sua etica privata volesse non vendere un farmaco, allora dovrebbe, per etica civile, rinunciare a garanzie e privilegi che gli vengono dal patto sottoscritto con lo Stato. Qualsiasi etica, religiosa o laica, naturale, immanente o trascendente non può sfuggire ad una regola prima: la coerenza.