Italiani escono a 30 anni di casa: francesi e tedeschi a 25

di Redazione Blitz
Pubblicato il 14 Aprile 2016 - 14:31 OLTRE 6 MESI FA
Italiani escono a 30 anni di casa: francesi e tedeschi a 25

Italiani escono a 30 anni di casa: francesi e tedeschi a 25

ROMA – Italiani escono a 30 anni di casa: francesi e tedeschi a 25. In Italia l’età media di uscita dalla famiglia di origine è attorno ai 30 anni, mentre è inferiore ai 25 nei paesi scandinavi, in Francia, Germania e Regno Unito; meno del 12% dei giovani vive in una unione di coppia tra i 16 e i 29 anni, un valore che è la metà rispetto alla media europea e, di conseguenza, l’Italia è, assieme alla Spagna, il paese con più bassa fecondità realizzata prima dei 30 anni. E’ questo il quadro che emerge dal Rapporto Giovani 2016 realizzato dall’Istituto Toniolo di Milano che verrà presentato domani all’Università Cattolica di Milano.

“Il fare, la felicità e il futuro sono le tre F da rimettere insieme e sulle quali puntano i giovani Italiani almeno nei prossimi anni. Un obiettivo importante che deve fare i conti, però, con il fatto che siamo uno dei paesi che meno sono riusciti (finora) a costruire basi solide per un futuro da protagonisti dei giovani per la crescita del paese” commentano i ricercatori.

Il Rapporto Giovani 2016 è il frutto di una nuova fase di ricerca e mappatura che è partita nell’autunno 2015 con un rinnovato campione di 9.000 giovani tra i 18 e i 32 anni. Mentre in Italia 3 intervistati su 4 ritengono che nel proprio paese le opportunità offerte siano inferiori rispetto alla media degli altri paesi sviluppati, si scende a meno di 2 su 3 in Spagna, a meno di 1 su 5 in Francia e Gran Bretagna, e meno di 1 su 10 in Germania. Di conseguenza l’Italia è anche uno dei paesi in cui maggiore è la propensione ad andare all’estero per cogliere migliori opportunità di lavoro.

Il 55% degli intervistati considera la capacità di adattarsi l’elemento più utile per trovare lavoro, seguito dalla solida formazione di competenze avanzate (20,1%) e solo al terzo posto il titolo di studio (15,1%), seguono altre voci che raccolgono il 9,8%. Il 91% degli intervistati concorda (molto o abbastanza) nel ritenere il lavoro come uno strumento diretto a procurare reddito. Cruciale inoltre per affrontare il futuro (88%) e per costruirsi una vita familiare (87,5%). Un po’ più bassa la quota di chi lo considera soprattutto come modalità di autorealizzazione (85%).

Chi si trova nella condizione di Neet vede il futuro pieno di rischi e incognite nel 78% dei casi, contro il 72% chi di studia o lavora. Chi vede meno grigio il futuro è soprattutto chi ha un lavoro a tempo indeterminato: 65%. Il numero di figli idealmente desiderato supera mediamente i due, ma nel tempo si è ridotto sensibilmente il numero di figli che concretamente si pensa di realizzare. Tale valore scende poco sopra 1,5 figli, un dato che comunque è vicino alla media europea e sensibilmente superiore al valore di 1,35 effettivamente osservato in Italia nel 2015. Sull’intenzione di avere un figlio nei prossimi tre anni le analisi condotte nel Rapporto confermano l’importanza della condizione occupazionale.