Lombardia multietnica: sono 107 mila le imprese,1,2 milioni gli abitanti “stranieri”

Pubblicato il 23 Ottobre 2010 - 10:24 OLTRE 6 MESI FA

In Lombardia il lavoro è sempre più straniero. Nonostante la crisi, è cresciuto nella regione il numero delle imprese gestite da stranieri: nel 2006 erano meno del 2% e nel giro di tre anni sono arrivate al 6%,  sono 107mila. È quanto risulta dalla ricerca effettuata dalla Fondazione Ismu – un istituto attivo da circa 20 anni che promuove studi sulle migrazioni – insieme alla Camera di Commercio di Milano.

La provenienza dei titolari non italiani è molto varia e figlia della forte pressione migratoria degli ultimi anni: dall’Africa, come dall’Asia e dall’America latina, ma anche dall’Europa dell’Est. La metà delle società registrate, circa 51mila, sono imprese individuali, solo un quarto è fatto di società di capitale, e circa 22mila sono società di persone e liberi professionisti. Vincenzo Cesareo, presidente della Fondazione Ismu: “Si concentrano in pochi settori della cosiddetta old economy: edilizia, trasporti, servizi di pulizia alle imprese, commercio al dettaglio, quelli che presentano basse barriere di ingresso e costi di esercizio contenuti”.

Analizzando il trend secondo l’Ismu si può dire che il fenomeno sia in grande espansione per la Lombardia, regione i cui la presenza migratoria è molto forte. I residenti stranieri compresi gli irregolari si calcola sono circa 1,2 milioni (il 13% della popolazione lombarda).

Le imprese cui danno vita presentano generalmente un numero ridotto di dipendenti e intessono reti commerciali di estensione limitata. I problemi con cui gli imprenditori stranieri devono confrontarsi non sono molto diverse da quelle che i neo imprenditori di nazionalità italiana affrontano, forse in alcuni casi più accentuate, come ha commentato Cesareo: “Gli stranieri che optano per il lavoro in proprio finiscono per confrontarsi con una serie di difficoltà. Tra queste, la scarsa disponibilità di capitale, sia in termini economici sia, talvolta, in termini sociali, l’accesso al sistema creditizio, la burocrazia e, infine, carenze di risorse comunicative e, soprattutto, informative”.