Arpad Weisz, il Mourinho ebreo finito a Auschwitz. Bologna e Inter lo celebrano

Pubblicato il 15 Gennaio 2013 - 12:37 OLTRE 6 MESI FA
Coppa Italia. Bologna e Inter dedicano la partita a Arpad Weisz, tecnico ebreo ungherese vincente che finì ad Auschwitz

ROMA – Árpád Weisz, il cui nome l’autarchia fascista storpiava in Veisz, sì che era un vero vincente: da allenatore portò allo scudetto l’Internazionale nel 1930, prima di condurre il Bologna “che il mondo tremare fa” due volte al titolo, fino a essere cacciato dall’Italia in quanto ebreo e ungherese nel ’38, fino a morire ad Auschwitz nel ’44 con tutta la sua famiglia. Oggi Bologna e Inter, in occasione dei quarti di Coppa Italia che si giocano a Milano, gli dedicano la partita, il primo omaggio a un eroe del calcio che la follia delle leggi razziali di allora costrinse a una fuga per mezza Europa.

“Di Weisz, a sessant’anni dalla morte, si era perduta ogni traccia. Eppure aveva vinto più di tutti nella sua epoca, un’epoca gloriosa del pallone, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. […] Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo”: sono parole di Matteo Marani che a Weisz ha dedicato un commovente libro (“Dallo scudetto ad Auschwitz”). Ve li immaginate, davvero, i guru della pedata che si autoproclamano vincenti per antonomasia scomparire nel nulla mediatico, un Mourinho (per restare all’Inter) missing, desaparecido.

Eppure, nonostante l’oltraggio della memoria, i settant’anni di silenzio, si torna a celebrare le gesta normali di un allenatore eccezionale. Giocatore di buon livello, si infortunò precocemente. Fu il primo a smettere giacca e cravatta per mischiarsi ai giocatori negli allenamenti, calzoncini e maglietta. Scoprì, forgiò e lanciò a 17 anni un campione assoluto, quel Giuseppe Meazza cui è intitolato il nome dello stadio della partita che commemora l’ungherese. Inventò i ritiri termali, quel richiamo di preparazione atletica invernale che oggi si fanno a Dubai come in Florida. L’anno successivo alla conquista della Coppa dell’Esposizione a Parigi nel 1937, non sapeva che avrebbe dovuto farvi precipitoso ritorno in fuga dagli sgherri dell’Ovra.

In Francia però non riuscì a trovare lavoro. Gli andò meglio in Olanda, dove a Dordrecht allestì un gruppo in grado di rivaleggiare con i campioni del Feyenord. Quando l’aria per gli ebrei divenne pesante anche in Olanda, allenava da clandestino la squadra, osservando gli allenamenti di nascosto e recapitando suggerimenti e annotazioni tattiche. Poi il buio: il furore nazista l’avrebbe inghiottito in un campo di concentramento.